Scrivere e leggere nella città antica

Maurizio Schoepflin

La recensione del libro di Guglielmo Cavallo, Carocci, 316 pp., 33 euro

Non c’è dubbio che, nell’antichità, Atene, Alessandria d’Egitto, Roma, Ravenna e Costantinopoli siano state, come si direbbe oggi, cinque capitali della cultura. Ne è convinto anche Guglielmo Cavallo, professore emerito all’Università di Roma “La Sapienza”, il quale, in questo suo recente volume, frutto di molti anni di ricerche, concentra l’attenzione proprio su quelle celebri località per offrire al lettore la spiegazione del valore e del significato che ebbe la scrittura per il mondo antico. Soffermandosi sulla Grecia dell’epoca classica ed ellenistica, sull’età della Roma repubblicana e imperiale, sulla morente antichità e sui primi secoli del medioevo barbarico-occidentale e bizantino, Cavallo esamina a fondo “oltre alle fonti letterarie, soprattutto le testimonianze direttamente conservate di scrittura e lettura – rotoli di papiro, tavolette, codici, documenti, iscrizioni, graffiti – risalendone agli usi e alle funzioni mediante l’osservazione e la valutazione della quantità, natura, varietà dei supporti scritti, dei contenuti testuali, delle caratteristiche grafiche, della diffusione, qualità e distribuzione dell’alfabetismo”.

 

Le scoperte a cui Cavallo ci guida sono davvero interessanti. Per esempio, veniamo a sapere che Caligola pubblicava le leggi impopolari, come quelle relative alle imposizioni fiscali, “in caratteri assai minuti, scarsamente leggibili e in un luogo angusto e appartato” affinché nessuno le notasse o, avendole notate, non riuscisse a trascriverle e, ancora prima, a leggerle. Una sottolineatura particolare viene riservata alla Ravenna dell’età di Giustiniano, dove si registrò un forte aumento della produzione libraria di ottima qualità artigianale e dove, fin dalla metà del V secolo, fiorì una ricca cultura scritta di specifica indole ecclesiastica: a questo riguardo, spicca la presenza di un codice con opere di sant’Ambrogio conservato nell’Archivio Arcivescovile ravennate. Secondo Cavallo, si tratta di un vero e proprio monumento anche a motivo del fatto che mostra note marginali dovute a cinque mani diverse dislocate tra il VI e il IX secolo.

 

Fra il 900 e il 1100, Costantinopoli conobbe una fioritura senza pari e non casualmente venne considerata l’“occhio dell’universo”: Cavallo accompagna il lettore lungo il percorso che condusse la città sul Bosforo sino a quello splendore e mostra chiaramente che essa rimase sempre “una città di libri” e nessuna disgrazia che dovette subire fece venir meno questa vocazione. E come trascurare Atene? Nella capitale greca, in età classica, “pratiche di scrittura e di lettura – si trattasse di libri, documenti, epigrafi – sono una realtà saldamente attestata”. Di certo, non tutti gli ateniesi erano ugualmente alfabetizzati e non sempre si mirò a incrementare il numero dei più colti, ma è sicuro che per il suo funzionamento la democrazia di Atene esigeva competenze grafiche, prodotti scritti, pratiche di lettura e in generale una diffusione di cultura grafica più larga che in altre città greche.

   

Scrivere e leggere nella città antica

Guglielmo Cavallo

Carocci, 316 pp., 33 euro

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