Cadrò, sognando di volare

Giovanni Battistuzzi

Recensione del libro di Fabio Genovesi edito da Mondadori (312 pp., 19 euro)

Marco Pantani non è stato solo un corridore. E’ un territorio comune, il nord di una bussola. Almeno lo è per un paio di generazioni di amanti del ciclismo. E’ stato una goduria totale. A tal punto che le sue vittorie non solo vivono di una dimensione sportiva, quella della strada da lui percorsa, ma anche di una privata, un dove e un quando eravamo quando lui ha vinto. E’ stato un dramma lacerante, una ferita ancora aperta. Tanto che quel dove e quando vale anche per il 14 febbraio 2004, quando lo trovarono morto in un residence a Rimini. Pantani è un ricordo sportivo che si mescola al ricordo privato, come se tutto ciò fosse inscindibile, se ci fossimo stati anche noi in bicicletta con lui sulle salite alpine e pirenaiche. Non era così. Non lo è mai stato. Ma l’illusione è l’unico modo che abbiamo per stringere qualcosa che non riusciremo mai più nemmeno a sfiorare. E’ in questo territorio comune che si muove il libro di Fabio Genovesi. E’ nel 1998 pantaniano che prendono forma le vicende di Fabio, il protagonista del romanzo, un ventiquattrenne come tanti alle prese, come tanti, con una vita normale, forse un po’ da sfigato. Uno lontano anni luce da un’esistenza da copertina, antitesi esatta di quello scalatore romagnolo che in pochi mesi accese l’immaginazione dell’Italia intera trasformando la bicicletta in un oggetto di culto come non capitava da decenni. Eppure Pantani pur essendo un mito, il migliore ciclista in circolazione, quello capace di vincere nello stesso anno il Giro d’Italia e il Tour de France, pur essendo inarrivabile per classe e talento, non era dissimile da tutta quella schiera di tifosi che in lui si rivedeva. C’era un punto in comune che lo univa al suo popolo: la sfiga. Quella che ogni tanto lo buttava a terra, fosse una macchina in contromano o un gatto che attraversava la strada. Quella che tutti noi abbiamo provato, tanto da considerarla ormai una di casa. Pantani era riuscito a diventare una speranza, la possibilità di un cambiamento, di un cambio di stato possibile, l’evidenza che nulla, neppure la sfiga, può durare davvero per sempre. Nel 1998 pantaniano Fabio si ritrova con una laurea “alle porte”, una possibilità svanita di divertirsi a Siviglia e un posto da educatore in un convento per preti in pensione nel nulla dell’Appennino. Un anno di servizio civile, un’estate che sembra persa, un nulla dal quale però prendono vita le pedalate di Pantani, prima alla radio e poi alla tv. Oltre all’immagine grassa e stesa di don Basagni, il preside di quel posto dimenticato oltre che dagli uomini pure, forse, da Dio. Eppure proprio in questo nulla, dove potrebbe non accadere niente e infatti niente accade, tutto cambia, si trasforma. La vita di Fabio, il suo futuro, la tragicità del suo passato. E pure l’Italia che si riaccende di un amore antico per un corridore che riporta sulle strade e in televisione un messaggio d’antan che sembrava svanito: basta una bicicletta e un po’ di immaginazione per rivoltare tutto. 

 

Cadrò, sognando di volare
Fabio Genovesi
Mondadori 312 pp., 19 euro

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