Marginalia

Rinaldo Censi

Recensione del libro di Edgar Allan Poe edito da Adelphi (249 pp., 14 euro)

Nei cinque anni che lo separano dalla morte, tra il 1844 e il 1849, Edgar Allan Poe redige per alcuni periodici una rubrica che intitola “Marginalia”. Cosa sottende il titolo? In termini tecnici, i margini e con essi i “marginalia” indicano gli spazi che stanno dentro e insieme fuori da un testo, arrivando perfino a confonderli. Il margine bianco designa lo spazio di ricezione testuale che un lettore segna, commenta, per dialogare con l’autore del testo, se non – a volte – di un manoscritto. A differenza dello “scolio” (commento strutturato), i “marginalia” somigliano più a divagazioni, intuizioni, ad annotazioni simili a bizzarrie. Diversamente dai “memoranda”, non fungono da aide mémoire, non ricoprono il ruolo di metronomi capaci di scandire e riassumere la giornata. Dalle singole linee verticali o – faute de mieux – serpeggianti, che costellano un testo, tracciate per isolare un passaggio testuale, lo spazio bianco può accogliere ben altro. In quello che viene considerato il primo dei “marginalia”, pubblicato da Poe sulle pagine della Democratic Review, nel novembre del 1844, leggiamo questa ouverture: “Nel procurarmi i libri, mi sono sempre premurato di avere un margine spazioso; non per amore della cosa in sé, pur gradita, quanto per la facilità con la quale mi permette di segnare a matita pensieri suggeriti, identità e divergenze di opinione o brevi commenti critici in genere”. E poco dopo aggiunge: “I marginalia sono segnati di proposito a matita, perché la mente del lettore desidera sgravarsi di un pensiero; per quanto impertinente-sciocco-futile- pur sempre un pensiero, non semplicemente una cosa che forse, col tempo, e in circostanze più favorevoli, lo sarebbe stato”. Sembra di ritrovare qui già abbozzate quelle Idee-Mostri di cui parlerà Paul Valéry nel suo Monsieur Teste, “generate dall’ingenuo esercizio delle nostre facoltà interrogatrici, che applichiamo un po’ dappertutto”? A volte sono quei pensieri che durano non più di un quarto d’ora. Mostri, capricci simili alle “drôlerie”, le insolenze figurative, le grottesche che troviamo fissate nei margini di libri, manoscritti gotici. Ma a chi si rivolge Poe? Semplicemente a se stesso. “Nei marginalia, inoltre, parliamo solo a noi stessi; dunque parliamo con freschezza-audacia-originalità”, sottolinea, con uso strabiliante del trattino. Da qui una serie di riflessioni, brevi-contratte-nervose-lunghe, su poesia, romanzi, creazione, sul concetto di eccentricità, citando scrittori, lodandoli e stroncandoli in modo violento, lucido – come può solo l’alcol. E passaggi sulla “fantasia” (“Non è assolutamente una fantasia senza senso il fatto che, in un’esistenza futura, quella che riteniamo la nostra esistenza presente sarà ai nostri occhi come un sogno”).

Queste pagine, che tornano ora in libreria grazie ad Adelphi e alla solerzia di Ottavio Fatica, somigliano a un laboratorio. Sono in fondo un autoritratto.

 

Marginalia
Edgar Allan Poe
Adelphi, 249 pp., 14 euro

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