I figli di Bronstein

Alessandro Moscè

Recensione del libro di Jurek Becker edito da Neri Pozza (297 pp., 15,50 euro)

Della Shoah si è scritto a lungo con saggi, trattati sociologici, libri-interviste, romanzi che hanno riguardato, per lo più, la tragedia vissuta dentro il lager. Altre volte si è lasciato parlare i sopravvissuti, ma raramente ci si è imbattuti in narrazioni dove prevalesse lo strascico di chi è stato perseguitato dal male diventando un violento per desiderio di vendetta. E’ questo il dato di partenza di Jurek Becker nel suo I figli di Bronstein, in cui alla lietezza di un amore di giovani che superano il pudore dei primi incontri in una baita di montagna, segue il male di chi perde la testa. Il gesto decisivo, deprecabile, è compiuto da Arno Bronstein, il padre di Hans (“Lui non mi ha mai raccontato da dove veniva la sua ricchezza, ormai dissipata da tempo; ma da osservazioni, da imprudenze che gli sono sfuggite nel corso degli anni, ho potuto farmi un’idea. Subito dopo la guerra deve essere stato un trafficante”). Con alcuni amici che sono stati internati nel lager di Neuengamme, un sobborgo a sud di Amburgo, decide di sequestrare un uomo e di dare la caccia ad altri nazisti, criminali e sorveglianti del campo. La baita è occupata da più uomini che stanno interrogando il prigioniero. Hans se ne accorge, mentre entra e vede con i suoi occhi una scena raccapricciante, che non avrebbe mai pensato: qualcuno è disteso su un letto di ferro e ha i piedi legati con una cintura di ferro. Può muovere liberamente solo le mani, ma alla spalliera del letto sono appese le manette e una chiave. Arno e i suoi sodali vogliono sapere i nomi dei responsabili del campo di Neuengamme, non interrogare e consegnare la persona a un sostituto procuratore. “Si arrogavano un diritto che non spettava a nessuno, neppure a loro”, pensa Hans, sconvolto dalla rudezza del padre che sferra pugni allo sterno del malcapitato. Sua sorella, Elle, è ricoverata in un istituto psichiatrico. Continua ad avventarsi su chiunque, senza apparente motivo. Il suo comportamento, con ogni probabilità, è dovuto a esperienze risalenti al tempo della guerra. Quando è quieta comunica scrivendo poesie indirizzate alla famiglia. Il padre di Hans e di Elle continua a tacere sul passato, ma non vuole essere considerato una vittima. Hans è confuso: “Nella testa ho soltanto un lieve ronzio e immagino che si stenda sul cervello come uno strato protettivo, per tenerlo lontano da ogni attività”. Questo libro nasce dall’esperienza di Jurek Becker (scrisse anche il romanzo Jakob il bugiardo, del quale ricordiamo la famosa trasposizione cinematografica nel 1999). Fu pubblicato per la prima volta nel 1986, a quasi dieci anni di distanza dal trasferimento dello scrittore a Berlino ovest. Becker non ricorda l’Olocausto vissuto da bambino, tanto da avere sempre dichiarato che il periodo del ghetto è stato oggetto di rimozione perché forse non si trattava nemmeno di vita, come nota Roberta Malagoli che ha curato la postfazione. Ma tutte le volte che a Becker hanno chiesto della sua discendenza ha riferito che i genitori erano ebrei, come inserisse un punto esclamativo, una formula fissa. 

 

I figli di Bronstein
Jurek Becker
Neri Pozza, 297 pp., 15,50 euro 

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