L'arte di bere caffè

Maurizio Schoepflin

La recensione del libro di Antonio Fausto Naironi (il melangolo, 80 pp., 8 euro)

Prendere un caffè. Quando vogliamo indicare una delle azioni più semplici che si possano compiere, la paragoniamo all’assunzione di una tazzina della nera bevanda, di cui moltissimi sono grandi estimatori. Ma non è sempre stato così. Nel 1671, a Roma, veniva pubblicato un volumetto recante un titolo davvero impegnativo: De saluberrima potione cahve seu cafe nuncupata discursus. In esso, l’autore affermava, in via preliminare, di aver deciso di comporre un breve trattato sul caffè poiché non pochi, “ignari delle sue qualità e dei buoni effetti”, si stavano mostrando letteralmente spaventati dal diffondersi dell’usanza di sorbire abbondanti quantità di quella bevanda. A comporre questo vero e proprio trattatello fu il romano Antonio Fausto Naironi, nato nel 1628 in una famiglia di origini libanesi e morto nel 1707. All’età di dieci anni era entrato nel Collegio Maronita dell’Urbe e aveva poi proseguito gli studi ecclesiastici presso i gesuiti del Collegio Romano, al fine di prepararsi adeguatamente al suo ritorno in Libano, presso la chiesa maronita, una delle comunità dell’oriente cristiano in comunione con il Papa, ove venne ordinato sacerdote. Inviato di nuovo a Roma per ragioni di studio dal Patriarca del Libano, preferì rimanere nella capitale, ottenendo la cattedra di lingue orientali presso l’università la Sapienza. Prima del lavoro di Naironi non si hanno notizie di opere specificamente dedicate al caffè, sebbene non manchino autori che, in vari scritti, facciano cenno a esso. Dalle poche testimonianze in nostro possesso risulta comunque chiaro che in medio oriente, probabilmente già a partire dalla metà del Quattrocento, se ne facesse ampio uso, mentre esso giunse in Europa nella prima parte del XVII secolo. Fu nel trentennio precedente la pubblicazione del libro di Naironi che, transitando attraverso la nevralgica piazza commerciale di Venezia, il caffè fece il suo trionfale ingresso in Italia. Il Nostro non ha dubbi in merito alla bontà e alla salubrità della bevanda e apre la strada a una pubblicistica posteriore che ne tesserà ulteriori lodi, sottolineando i benefici che esso apporta, tra l’altro, alla digestione, alla lucidità mentale, all’espulsione degli umori nocivi e, più in generale, al buon funzionamento di vari organi e apparati. L’attenzione di Naironi si concentra in particolare sugli aspetti medici e terapeutici connessi con il consumo del caffè; tuttavia, come fa notare Lucio Coco, che ha ottimamente curato il testo, egli non trascura neppure la dimensione sociale dell’assunzione della bevanda: la lentezza con cui solitamente la si sorbisce, per esempio, incoraggia e asseconda la meditazione e favorisce il prolungarsi degli incontri tra amici.

 

Fra tutte le doti del caffè, l’autore esalta quella di essere un utile eccitante. Non casualmente, egli dà ampio risalto alla leggenda secondo cui il caffè venne scoperto quando ci si accorse che gli animali che ne mangiavano la pianta venivano presi da un’inconsueta irrequietezza.

 

Antonio Fausto Naironi
L’arte di bere caffè
il melangolo, 80 pp., 8 euro

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