Tre scritti sul nichilismo

Maurizio Schoepflin

La recensione del libro di Jean Paul, Morcelliana, 90 pp., 11 euro

Johann Paul Friedrich Richter, che scelse lo pseudonimo di Jean Paul, con il quale è maggiormente conosciuto, è stato un romanziere, filosofo e pedagogista tedesco vissuto fra il 1763 e il 1825. Scrittore precoce e prolifico, lettore onnivoro e disordinato, trascorse un’esistenza segnata dal dolore, cosa che, forse, non fu estranea all’elaborazione da parte sua di alcune dottrine che lo hanno fatto considerare un anticipatore del nichilismo otto-novecentesco, in grado di precorrere temi che diventeranno centrali nel pensiero di Nietzsche. Fra i testi che meglio indicano le coordinate del nichilismo jeanpauliano spicca il “Discorso del Cristo morto, il quale, dall’alto dell’edificio del mondo, proclama che non vi è Dio alcuno”, a cui si ricollegano altri due lavori intitolati “Lamentazione di Shakespeare morto, fra ascoltatori morti nella chiesa, in cui si proclama che non vi è Dio alcuno” e “Il sogno nel sogno”. Dobbiamo ad Adriano Fabris, docente di Filosofia morale e di Filosofia della religione all’Università di Pisa, la recente riproposizione di queste tre opere, la cui interpretazione, certamente non semplice, viene agevolata da una premessa e da una postfazione redatte da Fabris stesso. Il “Discorso” può essere definito come una predica a rovescio: in tale opera, infatti, invertendo l’impostazione apologetica tipica di ogni omelia, il sermone ha lo scopo di sostenere la vanità del tutto e l’inesistenza di Dio. L’uomo di Jean Paul si trova solo e sperduto nel cosmo infinito, privo di appigli e di orientamento (espressioni molto simili a queste saranno riproposte oltre un secolo più tardi da Sartre). Per il Nostro, l’assenza di Dio, testimoniata dal caos che regna nell’universo, è un dato che si impone nella e per la sua evidenza: “Il ‘Discorso del Cristo morto’ – annota a tale riguardo Fabris – è appunto l’esercizio mentale in cui la semplice proclamazione di un ordine di senso, religiosamente connotato, viene messa in crisi dall’affermazione, altrettanto fattuale, dell’insensatezza del Tutto”. O Dio o il nulla: tertium non datur.

  

Come si pone Jean Paul di fronte a questo aut aut? In primo luogo, egli scarta le posizioni dei filosofi – e la mente corre a Fichte e a Kant – che hanno tentato di sostenere che Dio esiste mediante l’uso della ragione teoretica o di quella pratica. E’ opportuno, piuttosto, a giudizio di Jean Paul, muoversi sul piano dell’intuizione e del sentimento, il quale, dinanzi alla morte del padre, ci indirizza verso la figura della madre, simbolo imperituro dell’amore: “L’amore dei due amanti – afferma Fabris –, l’amore dei vecchi coniugi, l’amore dei due amici e, in special modo, l’amore della madre per il figlio, non solamente sono in grado… di compiere il miracolo della riunificazione, del ricongiungimento di coloro che sembravano definitivamente separati – quindi di mostrare che la morte in realtà può essere vinta –, ma soprattutto fanno sì che per il loro tramite sia nuovamente recuperata un’autentica dimensione di senso”.

 

TRE SCRITTI SUL NICHILISMO

Jean Paul,

Morcelliana, 90 pp., 11 euro

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