recensioni foglianti

Quando la vita ti viene a trovare

Claudia Gualdana

di Ivano Dionigi, Laterza, 126 pp., 14 euro

Un po’ di etimologia per una volta non guasta: classico nell’antichità era chi faceva parte della prima classe dei cittadini. In letteratura, lo scrittore fregiato di tale aggettivo era “di prim’ordine”. Con la fine di quel mondo, classico è diventato invece tutto ciò che lo riguarda. Dal capitello dorico a Plotino, filosofo di confine, l’ultimo sommo pagano sul limitare del Medioevo. A noi ex studenti costoro restano impressi per le versioni al liceo, ma troppo spesso, presi da sintassi e sinonimi, disperdiamo un pensiero che si ostina a non morire. I classici si stampano tuttora, non solo per studenti svogliati e topi di biblioteca.
Cicerone è il padre nobile della prosa europea; sant’Agostino fu indulgente con Seneca; Virgilio accompagna Dante all’Inferno. Non c’è vivo più vivo di un morto se è “di prim’ordine”, verrebbe da dire. L’agile libro di Dionigi, presidente della Pontificia accademia di latinità e direttore della rivista Latinitas, va giusto in questa direzione. L’autore scrive un dialogo immaginario tra Lucrezio e Seneca – epicureo l’uno, stoico l’altro – domandandosi se il loro filosofare antico possa dire ancora qualcosa all’uomo ipertecnologico di oggi. La risposta è senza dubbio affermativa. Se le sfide e i timori erano diversi, l’angoscia profonda e oscura è rimasta la stessa.

 

Qui siamo ben oltre il socratico “conosci te stesso” di una civiltà all’alba. Siamo nella Roma imperiale, stagione matura all’apogeo, per cui già timorosa di perdere se stessa. Nell’Urbe, inoltre, il filosofo ineffabile, posto oltre le bagatelle quotidiane, non aveva mai trovato ricetto fino in fondo. Seneca era il precettore di Nerone, un politico astuto, fine oratore e uomo di mondo. Più sfuggente Lucrezio, il quale aveva abbracciato quell’Epicuro malinteso, perché predicava di vivere nascosti, al di sopra delle beghe di palazzo, rifuggendo ogni fonte di infelicità. Ma il punto è proprio questo, ed è sempre lo stesso: è meglio vivere tra le passioni dell’esistenza o separarsene scegliendo l’atarassia? E ancora: è possibile avere una vita felice? A Roma pochi avevano dubbi: lo stoicismo andava per la maggiore e una vita degna di essere vissuta non era neanche ipotizzabile, se non ci si cimentava nella politica o nell’arte della guerra. Il filosofo dell’antichità romana era insomma un viandante delle strade oggi percorse, sebbene in tono dimesso, anche da noi, nelle nostre città affollate. Quindi le voci di Lucrezio, ma in misura maggiore quella di Seneca, che si sporcò le mani con il potere e per il potere scelse di togliersi la vita, giungono a noi forti e chiare. Con buoni consigli per un saggio compromesso tra un’esistenza ritirata e quella pubblica, per esempio, delle “Lettere a Lucilio”, un bestseller in classifica da duemila anni. I padri insomma hanno ancora qualcosa da dirci. Magari per suggerirci se scegliere la politica o l’antipolitica: “Se rimanere soli a riva a osservare le tempeste della vita oppure salire a bordo”.

 

QUANDO LA VITA TI VIENE A TROVARE
Ivano Dionigi
Laterza, 126 pp., 14 euro

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