recensioni foglianti

Pelle di corteccia

Edoardo Rialti

Annie Proulx
Mondadori, 728 pp., 24 euro

Gli sembrava di scorgere sempre più alberi all’orizzonte. Soffriva al pensiero che i suoi innumerevoli colpi d’ascia non potessero nulla contro la puntuta corona verdeggiante che si stendeva sconfinata sulla terra”. E’ questa le sensazione oscura che si agita nell’animo stanco d’un taglialegna americano sul finire del Diciassettesimo secolo. A tre secoli di distanza, sappiamo che non era così. L’ultimo romanzo della premio Pulitzer Annie Proulx – le cui storie del Wyoming hanno ispirato il Brokeback Mountain cinematografico – nacque vent’anni fa dinanzi a un cartello che informava che lì un tempo si ergeva la più grande distesa di pini bianchi del mondo, ma neppure un albero era sopravvissuto. Proulx decise dunque di risalire ai primi tagliaboschi, le vite dei cui discendenti – “non l’ennesima famiglia disfunzionale intenta a rimirarsi l’ombelico” – saranno a loro volta in inscindibile connubio con la progressiva deforestazione dell’America del nord: “Continuarono a tagliare giorno dopo giorno, e le loro mani si gonfiarono, si coprirono di vesciche, si indurirono, mentre il ritmo li afferrava malgrado le asce smussate”. Il lettore si unisce a tale ritmo secolare, che si apre sulla soglia di un mondo dove gli anni e le persone passano “in fretta, distinguendosi solo per gli incidenti e gli episodi strani”, e l’infinita distesa di alberi si riduce. In narrativa una tesi etica è tanto importante quanto pericolosa. Nel caso della Proulx, l’esplicita denuncia d’un rapporto predatorio verso l’ambiente si dipana in una lunga carreggiata di figure, nella saggezza ironica dell’asciutta voce narrante, nella verità di metafore e similitudini che sanno farti guardare i dettagli con un sorriso di riconoscimento rinnovato (“saltò giù dal cavallo con un gesto svolazzante come la firma di un ministro di stato… la primavera arrivò finalmente all’inizio di giugno, la gente che passeggiava sorridendo come se avesse la gambe nuove”). Le sue storie sono sempre incentrate su legami ed eredità misteriosi, che trovano sbocchi naturali o ribolliscono feriti e repressi (in Avviso ai naviganti, la bruciante ninfomania della moglie era un’eco del carisma conquistatore di Gengis Khan). Qui incontriamo figli di europei e nativi americani che faticano a trovare un’identità “addentrandosi sempre più in una doppia vita sull’orlo della follia”, donne che si fanno largo a gomitate nel cosmo maschile del commercio, l’antica cultura animistica soppiantata dalle regole del razionalismo occidentale (“E’ usanza dei bianchi pagare per tutto, non una ma molte volte”), mentre un mondo dove ogni pianta aveva ancora un nome sbiadisce nel passato, e l’uomo stesso, che ha trattato come mero sfondo da sfruttare quello che doveva essere il suo primo grande interlocutore, si affanna a cercare quanto gli è già vicino come la sua giugulare: “‘Dobbiamo superare gli esami. Così potremo andare all’università’. ‘Perché? Volete andarci?’. ‘Per avere una carriera. Per essere qualcuno’. ‘Voi siete già qualcuno’”.

 

PELLE DI CORTECCIA
Annie Proulx
Mondadori, 728 pp., 24 euro

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