Filippo II

Roberto Persico

Angelantonio Spagnoletti, Salerno, 384 pp., 24 euro

Dal padre Carlo aveva ereditato buona parte dell’“impero su cui non tramonta mai il sole”: il regno di Spagna e quello di Napoli, il ducato di Milano e le Fiandre, le sterminate colonie americane e le rotte che da lì cominciavano ad aprirsi verso l’Asia. A differenza del padre, che aveva passato la vita combattendo per mezza Europa, si mosse di rado da Madrid e si presentò sempre come uomo di pace, come annota un cronista del tempo: “Carlo stimò unico mezzo la spada, e Filippo giudicò più valevole la penna; quello stimava tutto perso, mancando d’esser per tutto, e questo credeva certe le vittorie allor che più ristretto se ne stava nel Gabinetto”. Pacifico però non significa rinunciatario, e Filippo non rinunciò mai a prendere le armi ogni volta che ritenesse di averne buone ragioni: “Per la difesa della religione; per punir l’offese, a noi ingiustamente fatte; o per recuperare le cose che ci sono state a torto levate”.

  
Della sua indole pacifica Filippo diede prova durante il breve matrimonio con Maria regina d’Inghilterra, quando – ironia della storia – convinse la consorte a non mettere a morte la cugina Elisabetta. E d’altro canto mostrò la sua fermezza allorché, appena salito al trono, non esitò a muover guerra addirittura al Papa. Mentre questa prima campagna ebbe buon esito, e l’Italia divenne la base per la politica antiturca che culminò nel successo di Lepanto, ben altrimenti sarebbero andate le cose là dov’erano in gioco una chiara identità nazionale e la determinazione a difendere la propria confessione religiosa: e saranno la tenace guerriglia dei Paesi Bassi, indomabili nonostante la politica del terrore del duca d’Alba, e la guerra con l’Inghilterra di Elisabetta, culminata col disastro dell’Invincibile armata. Quanto alle colonie americane – e asiatiche: durante il suo regno avviene la penetrazione spagnola nelle isole che ancora portano il suo nome, le Filippine –, il re fece il possibile per costruire un’amministrazione che tutelasse le popolazioni locali.

  
Ma le strategie politiche non occupano che una parte del libro, e diversi capitoli sono dedicati agli aspetti umani e culturali della vita di Filippo e del suo mondo. Troviamo così pagine sulla sincera religiosità personale del sovrano e sui fastosi cerimoniali di corte; sui rapporti spesso conflittuali con i grandi di Spagna – Filippo amava far sfoggio della propria benevolenza, ma tendeva a declassare i collaboratori che potessero in qualche modo fargli ombra – e sulle difficili relazioni col figlio Carlos e con il fratellastro Juan, il vincitore di Lepanto; sulla costruzione della reggia-monastero dell’Escorial e sulla giornata quasi monacale di un sovrano che voleva occuparsi personalmente di ogni dettaglio della vita dei suoi domini; e così via. Un’occasione insomma per immergersi in un clima e una mentalità per tanti aspetti molto diversi dai nostri, e in uno snodo politico e culturale da cui per converso il mondo moderno si avviava a prendere forma.

   

FILIPPO II
Angelantonio Spagnoletti
Salerno, 384 pp., 24 euro

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