recensioni foglianti

Il gelsomino e la pozzanghera

Maurizio Schoepflin

Etty Hillesum
Le Lettere, 172 pp., 14 euro

Quando, il 30 novembre 1943, muore nel campo di concentramento di Auschwitz, Ester (per tutti, Etty) Hillesum non ha ancora trent’anni, essendo nata nella cittadina olandese di Middelburg il 15 gennaio 1914 in una famiglia di ebrei non osservanti. Certamente, la sua breve esistenza non era stata facile, ma neppure priva di esperienze e di incontri densi di significato e ricchi di speranza. Aveva conosciuto l’amore e la passione erotica, la malattia e la guarigione, la sofferenza più cupa e la consolante presenza di Dio. Ritroviamo tutto questo nel suo Diario, affidato a undici quaderni, uno dei quali venne smarrito, messi al sicuro prima che la persecuzione nazista raggiungesse il suo acme. Oggi, quelle pagine sono diventate un autentico classico della spiritualità e della mistica, come sostiene Beatrice Iacopini, che ha curato questa bella antologia hillesumiana, arricchendola di un’agile introduzione e di un utilissimo glossario che permette al lettore di comprendere meglio alcune espressioni caratteristiche della scrittura della giovane ebrea olandese, dalle quali traspaiono le tonalità più profonde del suo animo inquieto e sensibile. Si prenda, per esempio, la parola olandese “Gelatenheid”, che corrisponde al sostantivo tedesco “Gelassenheit” e significa “abbandono fiducioso”: il termine, adoperato con significativa insistenza dal celebre mistico renano Meister Eckhart, vissuto fra il XIII e il XIV secolo, giunge sino a Martin Heidegger, uno dei maggiori filosofi del Novecento, che lo usa ripetutamente. Etty fa ricorso a questa parola in una pagina del Diario risalente alla fine di luglio del 1942, e in una lettera la avvicina esplicitamente al nome di Eckhart: con essa, la giovane ebrea, “indica l’atteggiamento interiore di accettazione fiduciosa delle cose come sono: è una conseguenza immediata, se non la stessa cosa addirittura, della fede in Dio”. Vi è poi l’espressione “spazio interiore” mutuata dall’amatissimo poeta Rainer Maria Rilke: con questa espressione la Hillesum si riferisce allo “spazio calmo” e silenzioso in cui riposare, una sorta di luogo quieto e inespugnabile ove nessun aguzzino potrà mai entrare; un territorio nel quale può regnare Dio stesso, ovvero colui che spiana le asperità, sana le contraddizioni e unifica ciò che sembra irrimediabilmente caratterizzato dalle contrapposizioni. Molto probabilmente, Etty ebbe l’opportunità di sperimentare tutto questo, e ciò la convinse di avere un “compito” da svolgere, una “missione” (in tedesco “Aufgabe”), che ella ravvisò nel suo specifico modo di opporsi al male e di resistere all’orrore che si diffondeva ovunque. Il 12 luglio 1942, scrisse: “Il gelsomino dietro casa mia è completamente deturpato dalle piogge e dalle burrasche degli ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano sparpagliati nelle nere pozzanghere fangose sul tetto piatto del garage. Ma in una qualche parte di me il gelsomino, indisturbato, prospera ancora, non meno delicato e rigoglioso, come fosse ancora pieno di fiori”.

 

IL GELSOMINO E LA POZZANGHERA
Etty Hillesum
Le Lettere, 172 pp., 14 euro

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