recensioni foglianti

Inarrestabile

Giorgia Mecca

Maria Sharapova
Einaudi, 280 pp., 18,50 euro

So che da noi volete l’amore per il gioco, se lo amiamo vi divertite di più, ma noi non lo amiamo. E non lo odiamo. E’ solo una realtà, esiste ed è sempre esistito”. L’autobiografia di Maria Sharapova comincia dalla fine, dal presente. Era l’inizio del 2016 e la tennista russa non faceva altro che pensare al ritiro: giocava a tennis da una vita, aveva vinto e aveva perso, adesso era ora di far calare il sipario. Poi, però, il mondo crolla all’improvviso. Una lettera della Federazione internazionale la informa che è stata trovata positiva a un test antidoping, Sharapova per molto tempo aveva assunto il Meldonium, una sostanza appena diventata illegale. La condanna è di sedici mesi di stop dall’attività agonistica, una pietra sopra alla carriera e a tutti i successi. “Sotto di me si aprì un baratro in cui sprofondai”. Da dove ha trovato la forza per ripartire Maria Sharapova? Dal tennis, ovviamente. Il libro racconta tutto, l’infanzia della giocatrice, Chernobyl, che per lei è stato l’inizio della sua storia, i suoi genitori che “erano poveri e non lo sapevano, la fuga verso gli Stati Uniti insieme a suo papà Jurij, un padre e una figlia che si lasciano alla spalle tutto ciò che hanno per rincorrere il sogno di diventare la migliore tennista del mondo. Maria, quando da bambina si sentiva sola e triste, “chiudeva gli occhi e mandava giù”, doveva pensare a sopravvivere. Sua madre era lontana, dall’altra parte del mondo; se non hai una mamma con cui piangere, semplicemente non piangi. “Mi sentivo sola? Non lo so. Era la mia vita, non ne conoscevo altre. Parlavo al telefono con mia madre una volta alla settimana, chiamate brevi perché costavano tanto. Mi esortava a non dimenticare mai chi ero e da dove venivo”. Se non sai da dove vieni, non sai chi sei. Intanto Jurij, per troppo amore e soltanto per quello, stava creando un mostro. Sua figlia non faceva altro che giocare a tennis, Maria non sapeva niente del mondo fuori dal campo. “Mi è sempre piaciuto colpire le palline. E’ l’unico modo di risolvere qualsiasi problema”. Non si stancava mai, Maria. Il mostro stava diventando un fenomeno. Merito della fame, dei soldi che non bastavano, di suo padre che si spaccava letteralmente la schiena per tenere in piedi il suo sogno, sua madre che non c’era e che le mancava ogni giorno. Giocava a tennis per questo, non si arrendeva mai. E’ così che si vince Wimbledon a diciassette anni contro Serena Williams, la giocatrice più forte del mondo, che dopo quella partita giurò a se stessa che non avrebbe mai più perso contro di lei. Le vittorie non servono a niente, sono state le sconfitte, i pianti a dirotto dentro gli spogliatoi, la rabbia e la frustrazione a farla diventare la prima tennista russa in vetta alla classifica mondiale. Dopo avere scontato la sua condanna e avere dimostrato la sua buona fede, Maria Sharapova ha smesso di pensare al ritiro. E’ tornata in campo ancora più decisa di prima. Sa da dove viene, non se l’è mai dimenticato. “Prima di tutto questo pensavo solo al traguardo, alla mia uscita di scena. Adesso penso solo a giocare. Finché ce la faccio. Al massimo delle mia possibilità. Finché non buttano giù le reti. Finché non bruciano le racchette. Finché non mi fermano. E voglio vedere chi ci prova”. Il tennis l’ha salvata, e non è ancora finita.

 

INARRESTABILE
Maria Sharapova
Einaudi, 280 pp., 18,50 euro

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