recensioni foglianti

Una cena al centro della terra

Roberto Paglialonga

Nathan Englander
Einaudi, 238 pp., 19,50 euro

E’tutta una questione di fedeltà. Non quella che sa di mera coerenza, spesso anche sofferta, ma – spiega Nathan Englander, 48enne di Long Island, espressione della tradizione letteraria ebraico-americana finito sotto i riflettori già nel 1999 per i racconti Per alleviare insopportabili impulsi e di nuovo nel 2012 per Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank – quella “evolutiva” che, aprendo il sé alle ragioni dell’altro, consente addirittura una maggiore comprensione del proprio credo e dell’affezione che gli si riserva. Per arrivare a Philip Roth, cui l’autore è stato precipitosamente paragonato, la strada è lunga. Ma la scrittura e la trama del suo ultimo romanzo, transitato di recente anche dalla kermesse romana “Libri Come”, sono appassionanti, grazie alla studiata tecnica dei capitoli alternati cui corrispondono le vite dei diversi personaggi, fatalmente incastrate nel gioco di specchi del conflitto arabo-israeliano, preso nello spicchio temporale che va dal culmine della seconda Intifada del 2002 al 2014, anno della morte del generale ed ex premier Ariel Sharon e dell’intensificarsi delle operazioni militari del governo Netanyahu contro Hamas nella Striscia di Gaza.
L’hanno chiamato thriller politico, spy story internazionale. Niente di tutto questo. Si tratta di una storia d’amore. Quella tra Israele e il suo destino messianico; quella tra il popolo palestinese e la sua causa; quella tra Ruthi, assistente personale di Sharon – che lo veglia, servile e indefessa, negli anni del coma post ictus – e l’idea stessa di battaglia politica e morale che il generale ha rappresentato a cavallo della fine del millennio; quella – paradossale – del figlio di Ruthi, un tossicodipendente senza spina dorsale, che di mestiere fa il sorvegliante in un carcere di massima sicurezza, verso il prigioniero Z, per il quale si dibatte tra la compassione e la tortura psicologica a suon di droghe pesanti; quella dello stesso prigioniero Z, ebreo americano che diviene spia del Mossad ma che, per fedeltà alla (sua) idea di giustizia e di pace, “tradisce” chi lo aveva assoldato, dando il via a una girandola di colpi di scena, si mette in fuga tra Berlino, Parigi e Capri, per finire intrappolato in un limbo detentivo nel deserto del Negev, così come Sharon lo è nel limbo tra la vita e la morte. Un po’ tragedia e un po’ commedia, tutto culmina nella storia “impossibile” tra l’israeliana Shira (colei che incastra il pasticcione Z), agente segreto a sua volta, e il suo alter ego arabo, consigliere del capo dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen: niente balconcino romantico stile Montecchi e Capuleti, ma quell’improbabile “cena al centro della terra” che si consuma in un tunnel antiaereo tra Israele e Gaza. Come a dire: per giungere alla verità bisogna scavare nella propria identità, “tradire” se necessario, cioè “consegnare” un po’ di sé per provare a capire la “giustizia” dell’altro. Tanto più se l’obiettivo è silenziare le armi e rinascere dopo una guerra. Quando la fedeltà si incancrenisce, diventa accanimento. E stoltezza.

 

UNA CENA AL CENTRO DELLA TERRA
Nathan Englander
Einaudi, 238 pp., 19,50 euro

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