recensioni foglianti

Politicamente corretto. Il conformismo morale come regime

Federico Morganti

Jonathan Friedman
Meltemi, 348 pp., 20 euro

Il “politicamente corretto” è un problema di disciplina del linguaggio. E’ un insieme di relazioni sociali che inducono all’esclusione o stigmatizzazione di certe opinioni o forme espressive, perché ritenute – a torto o ragione – irrispettose o offensive nei confronti di questa o quella categoria. Il libro di Jonathan Friedman vuole essere “una critica generale di tutte le forme di politicamente corretto come mezzo di soppressione del dibattito”, ma anche una spiegazione dell’ampia diffusione avutasi negli ultimi anni di questa forma indiretta di controllo del linguaggio.
La sua analisi si concentra in particolare sulla Svezia, dove l’immigrazione ha conosciuto di recente una crescita vertiginosa, e dove avrebbe messo piede una mentalità multiculturale, tale da mettere a tacere qualsiasi obiezione nei confronti del fenomeno migratorio come retrograda, razzista o xenofoba. Per quale ragione chiunque suggerisca che l’immigrazione può avere conseguenze indesiderabili – crimine, tensioni sociali, ghettizzazioni (e non integrazione) – è automaticamente tacciato come destrorso reazionario? Gli episodi di cronaca che vedono protagonisti gli immigrati, dice Friedman, sono seguiti dal coro “non bisogna generalizzare”.
Ma l’accusa di razzismo è essa stessa generalizzante: osservare che l’immigrazione ha conseguenze negative, infatti, non è una tesi sulla “razza” o su una certa cultura. E così, il politically correct sostituisce un discorso argomentativo con un discorso classificatorio. Se dici X, sei un fascista, un razzista, un classista.
Come e perché, negli ultimi anni, questo fenomeno è diventato così pervasivo? E’ qui che il libro si fa più debole (e verboso). Nella nostra epoca domina “un’ideologia della globalizzazione”, con il suo portato di migrazioni e multiculturalismo. Nei periodi di stress sociale, il “segnale” che si dà nel parlare, lo schierarsi, prevale sul contenuto semantico. Il linguaggio politicamente corretto serve non già ad affrontare i problemi, ma a segnalare una posizione (“non sono razzista”). In ciò, il punto di vista del gruppo è, rispetto all’individuo, prioritario: per essere socialmente accettati assume un rilievo speciale ciò che si dice o non si dice.
Friedman individua un problema reale: un clima mediatico in cui il merito dei problemi viene spesso sommerso da una disciplina linguistica che ha la pretesa di demarcare ciò che si può dire da ciò che non si può dire. Una tendenza che nasconde i problemi e inevitabilmente ne ritarda le soluzioni, limitandosi a perpetuare cliché socialmente accettabili. Purtroppo, lo stesso autore cade in questo tranello al momento di fornire una spiegazione causale: il punto di vista di Friedman si risolve, in fondo, in una sofisticata versione di “è tutta colpa del neoliberismo”. 

 

POLITICAMENTE CORRETTO. IL CONFORMISMO MORALE COME REGIME
Jonathan Friedman
Meltemi, 348 pp., 20 euro

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