La bevitrice di Henri de Toulouse-Lautrec

Ogni libro che amiamo è una ragazza trascurata?

Marco Archetti

Un corsivo grigio tortora di Ludwig Feuerbach su un segnalibro, un trasloco e la decisione di censire tutte le donne che, coi loro volti apparentemente simili ma in vesti diverse, vivaci o dimesse, alloggiavano nei miei scatoloni

“Accade ai libri come alle ragazze, tra le quali spesso le migliori e più degne vengono trascurate”. Così Ludwig Feuerbach in un corsivo grigio tortora su un segnalibro a cornice dorata targato Libreria Palazzo Roberti, Bassano del Grappa, scivolato fuori dalle pagine di un mio libro. Mi son rigirato in mano il virgolettato, ho chiuso il volume, riletto il titolo, il nome dell’autore, e ho deciso di prendere sul serio quella frase scivolata da un semi bestseller che avevo comprato per noia chissà quando: implicitamente, intendeva accusarmi?

 

Così, coda di paglia e complice un trasloco, ho voluto censire tutte le ragazze trascurate che, coi loro volti apparentemente simili ma in vesti diverse, vivaci o dimesse, alloggiavano nei miei scatoloni in attesa di nuovi scaffali di librerie da cui fissare, in corridoi al momento sconosciuti, le mie nuove pareti domestiche. Bene, mi son detto, cominciamo con metodo. Ma come regolarmi? La congerie era irriformabile, gli scatoloni erano ingozzati e scotchati, rattoppati, bitorzoluti, sovrafarciti, mal chiusi o male aperti (comunque sempre mal qualcosa) e nel valutarne il peso a occhio i miei flauti di vertebre suonavano la ritirata, altro che battaglie majakovskiane… Ma ormai tetragono e convinto, al grido di “Feuerbach sia!”, li ho capovolti e riaperti tutti dal primo all’ultimo; dovevo indagare a fondo. Molti di essi pullulavano di star e – confesso – mi sono sentito un po’ triviale.

 

Allora ho reagito, rimescolando a larghe manate e con maggior vigore, fiducioso negli esiti della ricerca oltre che della mia sofisticatezza viril-intellettuale di corteggiatore di neglette. Esaminavo titoli e borbottavo: scegliere una russa austera ancora intonsa? Una balcanica ribalda mai liberata dal cellophane? Un’italiana introversa non ancora sottolineata? Più ci pensavo e più tutto andava complicandosi. Perché si fa presto a dire “trascurate”, ma subito saltava fuori la prima magagna: alcune lo erano state, trascurate, eccome… però in un modo – come dire? – non letterale. Anzi, negli anni, quella presunta trascuratezza si era loro ritorta contro e le aveva esposte all’onta della “riscoperta”, cioè a una forma di attenzione diversamente attenta: la nicchia compiaciuta era diventata categoria del pensiero letterario prima, del gusto poi, del commercio infine.

 

Ma io volevo trovare una ragazza davvero negletta, una mai invitata a nessuna festa, una relegata nelle vergognose penombre dell’eterna zitellaggine biblio-critica. (Quindi non andavano bene né Restif de la Bretonne né Kazimierz Brandys né Isaac Babel, la nicchia non era abbastanza nicchia, l’esonero non era sufficientemente umbratile… La ragazza-Babel, poi, aveva goduto di ariose parentesi graffe di gloria oltreché di un – da me consumatissimo – Meridiano Mondadori e d’un pezzone di Giulio Meotti datato 25 giugno 2015 proprio su questo giornale, conservato dal sottoscritto come ormai nessuno conserva più gli articoli, cioè in carta e in una nerd-cartellina plastificata con l’etichetta “Russia”).

 

Alla fine, stremato dallo sfoglia, raspa e compulsa, stecchito di fronte al fatto che le mie ragazze trascurate non lo erano mai del tutto – e, in qualche caso, lo erano in modo insopportabilmente frivolo, cioè non si erano presentate alla festa ma si notavano di più così –, mi son seduto per terra e ho aperto a caso Witold Gombrowicz, “Ferdydurke”. Quante volte avevo letto quel libro? Tre sicure. Forse quattro. Diciamo quasi cinque, dato che alcuni passaggi li avevo ripassati più di una volta (in un’intervista recente Giampiero Mughini ha detto che lui leggeva col righello e la matita rossa e blu, come non volergli bene?). Ma, sfogliandolo, allarme: non ricordavo nemmeno una parola di quel paragrafo che pure avevo sottolineato. Peggio: non ricordavo nemmeno vagamente a cosa fosse riferito quell’altro passaggio che stavo ripercorrendo. Così ho chiuso il libro con un senso di sconfitta. E ho pensato che, come sempre, dentro ogni ragazza che amiamo e che siamo sicuri di non aver trascurato c’è una trascuratezza anche peggiore, un sentimento che giustifica se stesso al di là della realtà, un’iperbole sazia di sé, quella iattanza dell’“io ti conosco” tipica di chi, davvero e fino in fondo, non si è mai accertato di conoscere davvero. Ogni libro che amiamo è, dunque, un libro che crediamo di amare? E’ una ragazza che non amiamo abbastanza? E’ una ragazza trascurata?

Il tempo vola, la vita è breve e urge amare più forte: rileggere, rileggere, rileggere!

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