Donne in burqa indossano fasce con il messaggio in arabo, "Profeta di Dio, la pace sia con lui" in una protesta contro il settimanale satirico francese Charlie Hebdo (LaPresse)

Un Foglio internazionale

“Gli islamisti stanno vincendo”

L’allarme dell’avvocato di Charlie Hebdo alla vigilia del processo sull’attentato

Un Foglio internazionale, ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


  

A pochi giorni dall’apertura del processo sugli attentati islamisti del gennaio 2015, lo storico avvocato di Charlie Hebdo lancia l’allarme.

 

Le Point – Nel processo sugli attentati del gennaio 2015, che si apre il 2 settembre davanti alla Corte d’assise speciale di Parigi, lei difenderà gli interessi delle Éditions Rotative, la società editrice di Charlie Hebdo. Sarà l’avvocato di un giornale, di una comunità intellettuale, della libertà d’espressione? O di tutto ciò allo stesso tempo?

 

Richard Malka – Dopo gli attentati, abbiamo deciso che l’avvocato della persona morale Charlie Hebdo non poteva rappresentare allo stesso tempo le vittime e i loro cari. Ci sono difese e approcci differenti. E’ da trent’anni che difendo questo giornale, ciò che simboleggia e ciò che precisamente i fratelli Kouachi hanno voluto sradicare. La mia cliente infelice sarà dunque la libertà, e temo che a medio termine sia una causa persa.

 

Lei è ancora sotto scorta?

“Provo rabbia nei confronti di coloro che hanno tradito la causa della libertà, per vigliaccheria, per accecamento, per mantenere una certa postura, per calcolo elettorale”

Sì, lo sono ancora. Tutto è iniziato l’8 gennaio 2015 e da allora non c’è stata pace. Aggravo regolarmente la mia situazione difendendo Mila (studentessa minacciata di morte per aver criticato l’islam su Instagram, sotto scorta dallo scorso febbraio, ndr) o una ragazza che non viene lasciata salire in un autobus della Ratp (la società dei trasporti pubblici parigini, ndr) perché è maghrebina e porta una gonna sopra al ginocchio… Se si analizza ciò a freddo, ci si rende conto che è qualcosa di inverosimile. E lo è ancor di più perché sotto scorta ci sono anche dei pacifici vignettisti, dei caricaturisti inoffensivi, ma tutti sembrano essersi abituati. Del resto era ciò che si cercava: instaurare una nuova normalità, la paura e il silenzio per il terrore delle conseguenze dell’irriverenza.

 

Questo processo sarà quello dei secondi coltelli, dei complici, di coloro che hanno fornito i mezzi.

Sarà un processo storico, ragion per cui sarà filmato. I fatti giudicati hanno segnato la Francia e il mondo, ma effettivamente sul banco degli imputati si ritroveranno quelli che lei chiama “i secondi coltelli” perché i principali responsabili sono morti. In tutta franchezza, non mi interessano molto. E se i Kouachi fossero sul banco non ci sarebbe comunque da parte mia un maggior interesse. Sono solo delle armi. Sono importanti tanto quanto un kalashnikov, anche se può essere necessario capire attraverso quale processo degli uomini possano trasformarsi in macchine di morte. Chi ha armato intellettualmente i Kouachi, Coulibaly o un Merah, bramoso di uccidere dei bambini di cinque anni? Ciò che mi interessa è il lavaggio del cervello che viene prima dell’atto. All’inizio, c’è sempre la parola.

 

Lei dunque istruirà, in udienza, il processo di questi “complici intellettuali”?

I complici intellettuali non sono perseguiti. E non chiedo che vengano perseguiti proprio in nome della libertà d’espressione, quella dei miei avversari in questo caso. E’ sul terreno politico e ideologico che bisogna combatterli. Bisognerà ad ogni modo affrontare il movente del crimine, che non può essere il fantasma di cui non si parla. Perché si è verificato questo attentato? Perché quasi dieci anni fa sono state pubblicate delle vignette. Il movente del crimine è la volontà di proibire la critica di Dio, dunque la libertà d’espressione, dunque la libertà tout court. Mirabeau presentava la libertà d’espressione come “il bene più prezioso dell’essere umano”, formula ripresa nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789. E’ preziosa perché tutte le altre derivano da essa.

  

Cos’è che non abbiamo fatto e che avrebbe permesso di evitare, per riprendere la vostra formula, di “armare” questi terroristi?

E’ la storia di un grande tradimento. Sono diventato l’avvocato di Charlie Hebdo nel 1992, avevo 23 anni. Ho passato il primo decennio a difendere questo giornale contro dei cattolici integralisti. Abbiamo vinto i nostri processi, e una sentenza ha consacrato la libertà di caricatura religiosa. La sinistra ci ha applaudito unanime, eravamo celebrati, eravamo degli eroi ed ero felice. In realtà, non c’era niente di eroico. In quel momento, le nostre battaglie erano utili e legittime, ma eravamo sostenuti dallo spirito del tempo. Le cose hanno iniziato a cambiare all’inizio degli anni Duemila. Abbiamo subìto gli stessi attacchi, basati sugli stessi fondamenti giuridici, per delle vignette identiche, se non meno virulente, ma da parte di associazioni che si rivendicavano islamiche. Peccato che il clima fosse cambiato. Il blocco della sinistra, legato storicamente alla libertà d’espressione della Rivoluzione francese, poi difesa dai repubblicani, e in particolare dall’Unione repubblicana, il partito di Victor Hugo, che diede la nascita alla legge del 1881 (sulla libertà di stampa, ndr), ha cominciato a mostrare delle crepe. Alcuni nostri amici ci hanno voltato le spalle e, poco a poco, ci hanno condannato. Una parte della sinistra, ma anche della comunità universitaria, intellettuale e mediatica è arrivata a dire più o meno questo: per i cattolici eravamo d’accordo, ma per l’islam bisogna fare attenzione, è una minoranza.

  

Quand’è che la pressione su Charlie ha iniziato a essere veramente forte?

A memoria, le prime minacce di morte risalgono al 2002. Cabu aveva scritto questo nella legenda di una delle sue vignette: “Elezione di miss sacco di patate organizzata da Maometto”. Si vedeva il profeta divertito mentre presentava una decina di donne in burka… Questa vignetta era una reazione a un’aberrazione: la Nigeria aveva organizzato un concorso di Miss Mondo, considerato come un insulto all’islam da alcuni. Una manifestazione di protesta si era conclusa con duecento morti. Duecento vite strappate per una tale futilità!

  

In seguito, c’è stata la pubblicazione delle caricature di Maometto, nel 2006…

E in quel momento la sinistra si è divisa in maniera ancora più netta. Ma non solo essa. Le condanne piovevano da tutte le parti: da Jacques Chirac, che denunciava “le provocazioni suscettibili di fomentare pericolosamente le passioni”, a Dominique de Villepin, il suo primo ministro, che invitava “al rispetto e a evitare tutto ciò che ferisce inutilmente le convinzioni religiose”. Poi Jean-Marc Ayrault ha manifestato la sua “disapprovazione dinanzi a qualsiasi eccesso” e ha fatto appello allo “spirito di responsabilità di ognuno”.

 

Il processo sugli attentati del gennaio 2015 durerà due mesi e mezzo. Con che spirito lo affronta?

Con un’assoluta determinazione, ma anche con la paura per la sofferenza che produrrà; la paura di non essere all’altezza della mia causa e di quelli che non sono più di questo mondo; la paura di non riuscire a dominare la rabbia e la collera…

 

Quale collera, quale rabbia?

“Negli Stati Uniti, patria della libertà d’espressione, non si possono pubblicare le memorie di Woody Allen. Artisti vedono le loro opere censurate e si fanno escludere dai musei perché bianchi”

Quella che provo nei confronti di coloro che hanno tradito la causa della libertà, per vigliaccheria, per accecamento, per mantenere una certa postura, per calcolo elettorale… La collera contro questa sinistra spesso radicale che ci ha pugnalato diventando bigotta. Questa sinistra diventata identitaria attraverso le minoranze: il suo nuovo culto. Dov’è finita la sinistra libertaria, universalista e laica? Perché questo imbarazzo?

 

C’è stato comunque un potente sussulto, un momento incredibile: l’11 gennaio 2015, hanno manifestato quattro milioni di persone, tra cui trentacinque capi di stato. Ci ricordiamo dei cartelli: “Je suis Charlie, je suis juif, je suis flic”. Cosa resta di quel momento?

E’ stato un momento molto forte. E, contrariamente a ciò che ha detto Emmanuel Todd, non penso che siano degli “zombie cattolici” quelli che hanno manifestato quella domenica. Ma non ho mai avuto la minima illusione sul fatto che l’11 gennaio avrebbe potuto cambiare il corso delle cose.

 

Dunque secondo lei hanno vinto?

I fratelli Kouachi e quelli che li hanno armati hanno vinto, sì… Chi pubblicherebbe oggi le caricature di Maometto? Quale giornale? In che pièce teatrale, in che film, in che libro si osa criticare l’islam?

 

Chi l’ha fatto da cinque anni a questa parte? Houellebecq…

“Sottomissione” è uscito il giorno dell’attentato. Prima, dunque. Certo che hanno vinto… Ma faccio mia la scommessa pascaliana: l’aspirazione degli uomini a vivere liberi finisce sempre per prevalere.

 

Lo spirito dell’11 gennaio 2015 è secondo lei evaporato?

Questo spirito non esiste più da molto tempo. Sì, la situazione è ben peggiore rispetto a cinque anni fa. Non passa mese senza che a qualcuno non venga impedito di intervenire nelle università francesi: François Hollande, Sylviane Agacinski, Mohamed Sifaoui, Alain Finkielkraut, le rappresentazioni delle pièces antiche o quella di Charb… Degli apprendisti talebani dell’Unef (sindacato studentesco marcatamente di sinistra, ndr) o delle oscure associazioni si oppongono a ciò che esprimono così come alla libertà di creazione.

 

La libertà non è più una priorità in occidente. E in Francia?

Sono convinto che la stragrande maggioranza dei nostri concittadini sostenga queste battaglie; il fatto che non vengano ascoltati finirà per essere un problema democratico. La questione, peraltro, non è solo francese. Negli Stati Uniti, patria della libertà d’espressione, non si possono più pubblicare le memorie di Woody Allen. Alcuni artisti che avevano denunciato lo schiavismo vedono le loro opere censurate e si fanno escludere dai musei perché bianchi. Timothée de Fombelle, autore di libri di letteratura per bambini, si vede rifiutare il suo libro dal suo editore inglese perché è bianco e parla di una bambina nera…


  

(Traduzione di Mauro Zanon)

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