Rémi Brague (via Wikimedia)

Un Foglio internazionale

Il progresso non è una tabula rasa

Intervista a Rémi Brague: “Basta eliminare tutti i nostri nostri beni intellettuali e morali”

Questo articolo è stato pubblicato sul Foglio Internazionale: ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


 

Salvare le virtù, le idee e le verità che il progetto moderno ha condotto alla follia, è questa l’intenzione di Rémi Brague nella sua opera “Des vérités devenues folles”, che raggruppa i testi di diverse conferenze tenute tra il 2009 e il 2016, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Attraverso questi testi, il filosofo e saggista, membro dell’Institut de France, sottolinea l’impasse generata dal culto del progresso e invita a riesumare la forma premoderna di queste virtù, idee e verità radicate nella cultura occidentale, figlia tanto di Atene quanto di Gerusalemme. Il settimanale Valeurs Actuelles lo ha intervistato.

 

Perché questo titolo evocativo? “Il mio titolo è una chiara allusione alla frase di G. K. Chesterton in ‘Ortodossia’, secondo cui il mondo moderno è ‘saturo di antiche virtù cristiane impazzite’. Critico questo formula perché non ci sono virtù cristiane, ma virtù tout court, che sono rafforzate dal cristianesimo. Non esistono due maniere di essere giusti, coraggiosi, temperanti… E’ per questo motivo che ho incluso anche un altro testo di Chesterton, tratto dal capitolo ‘L’umanesimo è una religione?’ del libro ‘Perché sono cattolico’, nel quale insiste sul carattere parassitario del mondo moderno, che vive di princìpi, beni e conquiste intellettuali, spirituali e morali che lo hanno preceduto. Risalgono al Medioevo, che a sua volta ha rafforzato e sviluppato una parte dell’eredità antica. In materia di filosofia morale medievale, San Tommaso d’Aquino fa proprie intere parti del pensiero di Aristotele. E Ruggero Bacone cita pagine intere di Seneca. Insomma, non ci sono virtù cristiane, c’è una maniera cristiana di vivere e di esercitare le virtù umane. L’idea centrale di questo libro, che si riflette anche attraverso il titolo, è che i nostri beni intellettuali e morali tendono a dissolversi quando sono immersi in un universo moderno, e fioriscono quando sono ricollocati nel contesto premoderno che li ha ospitati”.

 

Perché il progetto moderno ha un tale impatto sui nostri beni intellettuali e morali? “A causa del suo mantra ‘facciamo tabula rasa del passato’, di questa volontà di ripartire da zero spazzando via le eredità del passato. Analizzo tutto questo, nel dettaglio, nel saggio ‘Le Règne de l’homme’. Si tratta di abbandonare tutti i nostri beni per costruire qualcosa su una base interamente nuova, o di distorcere il capitale dei mondi antichi per servire i nuovi obiettivi di questo mondo moderno. Nel saggio ‘Les Déshérités, ou l’urgence de transmettre’, François-Xavier Bellamy identifica i tre autori che corrispondono alle tre tappe del ripudio dell’eredità: Descartes, Rousseau e Bourdieu. Progressivamente, abbiamo perso il senso della continuità e dello sviluppo. Tuttavia, ritengo che la continuità debba essere uno dei diritti più importanti dell’umanità. Per riprendere la formula di Charles Dupont-White, ‘la continuità è un diritto dell’uomo’. Non si tratta di esaltare un fissismo ma di non perdere il contatto con ciò che ci ha reso tali e di far sì che l’eredità e le bellezze del passato arricchiscano il futuro. Perché, che lo si voglia o no, siamo degli eredi. I fisici spiegano del resto che gli atomi che compongono il nostro corpo sono apparsi alcuni secondi prima del big bang. Beninteso, ciò non significa che la storia sia il nostro codice, ma ciò che è stato richiede un certo rispetto, anche solo per non segare il ramo dell’albero sul quale siamo seduti. La continuità è la condizione della continuazione: se tagliamo tutto ciò che ci precede, siamo obbligati a fermarci per mancanza di energia. E’ ciò che mi fa dare un’accezione positiva al termine ‘tradizione’. La tradizione ha infatti un vantaggio: ha prodotto le persone che siamo. In compenso, non sono sicuro che i nostri stili di vita contemporanei possano produrre un futuro”.

 

Non è un caso se il movimento ecologista si sta espandendo… “Sicuramente c’è una presa di coscienza in materia ambientale, ma per quanto riguarda la sparizione delle pratiche culturali, questo livello di coscienza è ancora nel limbo. Basti guardare in che modo ci si sbarazza dei grandi scrittori francesi, che sono sempre meno studiati a scuola. Le classi preparatorie letterarie, pur non garantendo una conoscenza completa della storia letteraria, hanno perlomeno il merito di far scoprire l’esistenza di autori sempre più dimenticati. Forniscono la mappa del paese della cultura”.

 

Come spiega questo rifiuto della continuità? “Proviene dal desiderio di dipendere soltanto da sé stessi. Da un’idea di autonomia fraintesa rispetto al suo significato filosofico, che è quello di ‘poter accedere alla legge in prima persona’. Ciò non vuol dire fare soltanto di testa propria, anzi è quasi il contrario, perché fare di testa propria mette i desideri personali alla mercé di tutti e comporta di conseguenza una perdita di libertà. Ma la libertà secondo la concezione di molti dei nostri contemporanei è quella della caduta libera del sasso o della libertà del taxi vuoto, che non va da nessuna parte e chiunque può prendere e condurre in qualsiasi posto fintanto che può pagare.

Quale definizione della libertà preferisce a quella che ha appena esposto? “La via del bene è aperta!”.

 

Quale idea del mondo moderno è diventata la più folle? “L’idea di un progresso irresistibile che ci dovrebbe condurre, che lo si voglia o no, verso ‘vette radiose’, per parlare come Stalin. Questa idea del resto fa il paio con l’idea di ‘progetto’: determino ciò che sarò. Si tratta di una confusione grossolana. Negli ultimi secoli, ci sono stati un incremento delle nostre conoscenze e un aumento del nostro potere di agire sull’esterno (la tecnologia). L’idea di progresso è nata nel Diciottesimo secolo, quando ci si è detti che da queste crescite sarebbe derivato necessariamente un miglioramento dei regimi politici. E che da questo miglioramento dei regimi sarebbe scaturita, quasi automaticamente, un’elevazione del livello morale dell’umanità. Il Diciannovesimo secolo ha orchestrato tutto questo, poi il Ventesimo secolo, con due guerre mondiali e dei genocidi che lo hanno reso il nadir di tutti i secoli, ha spezzato questa illusione. Le persone un po’ intelligenti in Europa hanno allora smesso di credere che eravamo su un tapis roulant che ci avrebbe condotto verso un ‘futuro migliore’. Ma l’idea persiste nei milieu popolari, perché ci si scandalizza che la vita non migliora, come se il tempo agisse per noi. Alcuni cavalcano questa idea tenace: ci provano a vendere delle riforme cosiddette ‘di società’ affermando che costituiscono dei passi in avanti. Ma chi ci dice che ci facciano avanzare nella giusta direzione?

 

Come spiega la distruzione della famiglia tradizionale da parte dello Stato e del mercato, di cui abbiamo ancora avuto un esempio recentemente con il progetto di legge bioetica? “Perché lo Stato, secondo la sua logica, ha interesse a essere la sola istanza verso cui possa rivolgersi un individuo isolato. L’esistenza della famiglia, e di ogni corpo intermedio, è un ostacolo all’azione dello Stato. Perché per lo Stato, si deve ricevere ciò che si merita, né più né meno. Ma non funziona così nella famiglia: si amano i propri figli a prescindere da ciò che fanno. La logica della famiglia non è quella dello Stato e ancor meno quella del mercato. Per quest’ultimo, la situazione ideale è quella del consumatore isolato che fa i suoi acquisti al supermercato e non ha altre preoccupazioni se non quelle di ridurre al minimo il costo della spesa e massimizzare i risparmi”.

 

“In una maniera o nell’altra, la nostra cultura dovrà fare un passo indietro in direzione di un certo Medioevo”. Perché? “Lungi dall’essere l’epoca oscurantista che si cerca spesso di dipingere, il Medioevo è stato un periodo nel corso del quale grandezza e miseria, innovazione e conservazione non hanno mai smesso di intrecciarsi. Non mi faccio alcuna illusione sul Medioevo reale: le persone erano tanto stolte e cattive quanto chi c’era prima di loro e quanto lo siamo noi oggi – il che non è poco! Non credo affatto al progresso lineare. Ma esisteva un attaccamento alla trascendenza, in particolare nelle élite, che dava un senso e orientava l’esistenza. Le virtù erano presenti nella loro forma originale e non avevano ancora subìto le distorsioni della modernità. L’altro Medioevo possibile che si offre a noi è l’islam, nella sua forma più ottusa: una legge divina che non si discute, ma che si fa applicare e disciplina tutti gli ambiti della vita umana. Spetta a noi scegliere il Medioevo che vogliamo. Ma se questo passo indietro non verrà effettuato, spariremo, perché non avremo più alcun motivo reale di esistere o di perpetuare la specie umana”.

 

Lei sottolinea l’importanza della trascendenza. Quali sono i limiti dell’ateismo? “Bisogna concedergli che la scienza non ha bisogno di ciò che Laplace chiamava ‘l’ipotesi Dio’ per elaborare una descrizione rigorosa dell’universo: è sufficiente trovare le leggi matematiche che lo governano. D’altro canto, in politica, si può costruire un sistema nel quale la fede è respinta nella sfera privata: è sufficiente mettere a punto una sorta di gentlemen’s agreement nel quale nessuno avrà interesse a fare del male al suo prossimo. Non sono comunque sicuro che questo sistema, che si è instaurato per fasi, possa perdurare sul lungo termine. In compenso, l’ateismo si trova senza risposte quando si tratta di giustificare il perché dell’esistenza di un essere capace di fare scienza e politica. Si trova incapace di rispondere all’interrogativo: perché è un bene che gli uomini esistano? Per giustificare questa esistenza, è necessario un punto di riferimento esterno sul quale appoggiarsi. Qualcuno che ci dica: ‘Scegli la vita!’”.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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