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Nello sguardo di Ugo Mulas c'è tutta l'anima artistica del Novecento

Giampiero Mughini

A Venezia la mostra dedicata al grande fotografo. L’avere in mano il massiccio catalogo spiega a puntino ciascuna tappa della sua “operazione fotografica”

Purtroppo non c’ero nelle sale veneziane dov’è stata recentemente inaugurata la mostra che Fondazione Cini e Marsilio Arte hanno dedicato a Ugo Mulas (nato nel 1928, morto a Milano nel 1973), uno dei più grandi fotografi europei del Novecento, il secolo dove il linguaggio fotografico l’ha fatta a lungo da sovrano. L’avere in mano questo massiccio catalogo edito da Marsilio (Ugo Mulas. L’operazione fotografica, 2023) non è la stessa cosa che l’avere avuto a portata di sguardo le 330 foto di Mulas esibite a Venezia nonché i libri d’artista da lui apprestati, ma è comunque un gran bel godere e c’è che quel catalogo ti resta, lo sfogli, ti spiega a puntino ciascuna tappa dell’“operazione fotografica” intrapresa da Mulas. E tanto più per uno come il sottoscritto, la cui biblioteca è prensile quanto a libri nutriti da foto di qualità.

Non che i libri in cui la foto ha comunque un gran risalto siano congegnati tutti allo stesso modo. A voler raccontare la storia culturale italiana c’è un libro leggendario quale Occhio quadrato edito da Corrente nel 1941 in cui il futuro regista cinematografico Alberto Lattuada inanella 26 “tavole fotografiche” senza un solo rigo di didascalie, e questo ad afferrare la temperatura di uomini e pietre italiane di quel tempo. Ci sono i libri in cui uno scrittore e un fotografo duettano a costruire un racconto comune e ne è un esempio memorabile il Feste religiose in Sicilia di Leonardo Sciascia e Fernando Scianna del 1965. C’è nel 1970 il magnificente omaggio fotografico di Vittorugo Contino – Ezra Pound in Italy – a un Ezra Pound come recluso a Venezia da quanto ancora pesava su di lui la maledizione del 1945. C’è il Viaggio in Italia nell’edizione Il Quadrante 1984, quel viaggio fotografico lungo lo stivale che 20 fotografi prescelti da Luigi Ghirri avevano percorso a raccontare quanto stava mutando l’Italia del secondo dopoguerra. C’è nel 1967 la prima edizione, in lingua inglese ma stampato in Italia, di un libro tanto geniale quanto difficile da classificare, New York: The New Art Scene. E’ il libro in cui Ugo Mulas ha fotografato protagonisti e ambienti della Pop Art americana ad esaltare le pagine in cui scrive di loro Alan Solomon, l’allora deus ex machina della prodigiosa scena artistica americana. E non è un caso che a fare da immagine di copertina del catalogo Marsilio sia una bellissima foto contenuta nel libro omaggio alla Pop americana, una foto che Mulas aveva scattato a New York nel 1964.

Mulas s’era imbattuto per la prima volta nelle opere della Pop Art alla Biennale di Venezia del 1964, quella dove venne incoronato il trentanovenne Robert Rauschenberg, ciò che scatenò reazioni veementi da parte di critici che imputavano agli artisti americani “un tremendo squallore mentale”, e addirittura da parte della Chiesa che vietò ai chierici e ai sacerdoti di entrare nelle sale della Biennale. Invito che non venne raccolto da Mulas, il quale già nell’autunno del 1964 mise piede per la prima volta a New York, per poi tornarci nel 1965 e nel 1967, l’anno in cui viene pubblicato il suo libro/epopea sugli artisti newyorchesi. Soggiorni durante i quali non gli fece da impedimento il non conoscere una sola parola di inglese, e questo da quanto agevolmente seppe installare il suo occhio fotografico negli studi dei pittori di cui voleva raccontare, a cominciare dalle stupende foto scattate da Mulas a Andy Warhol e alla sua  gente: da brividi una foto in cui la musa prediletta di Warhol, Edie Sedgwick, gli si è come accampata accanto. E quella, e la foto di Jasper Johns mentre combatte con gli oggetti di cui saranno tessute le sue opere, e Jim Dine stravaccatissimo mentre sta mangiando con la moglie nel cucinino di casa loro, e Christo immobile e segreto mentre se ne sta in piedi appoggiato al muro del suo immenso studio, e il turbinio di opere nei più diversi formati sventagliate su un muro dello studio dello stesso Rauschenberg. Erano i pittori che in quel momento tenevano in mano le sorti dell’arte contemporanea.

C’è un altro mirabile libro di Mulas nato dal suo incontro con un ennesimo artista, e questo è un libro d’artista da come il grafico Giorgio A. Colombo vi mescola le piste della comunicazione visiva commistionando le foto a piena pagina di Mulas, i pochi testi, le due poesie di Nanni Balestrini. E’ il Lucio Fontana edito da Achille Mauri nel 1968, un libro da cui le foto scattate da Mulas all’artista italiano ma argentino di nascita è come se strepitassero la loro forza espressiva e la loro ambizione di fare a gara con il linguaggio artistico proprio a Fontana. Mulas era affascinato dall’operazione che Lucio Fontana compiva ogni volta su una tela, ferendola con un taglierino Stanley che se n’era stato a lungo come accucciato nella sua mano. Ebbene Fontana gli aveva detto che non era in quel gesto del tagliare l’anima e il significato della sua opera, e bensì nell’ “attesa” di quel gesto finale, un’attesa che poteva anche durare giorni. Durante i quali la tela bianca appostata nello studio se ne stava lì, vergine e come aspettando che qualcuno la violasse, mentre magari il pittore stava facendo e pensando ad altro. Finché Fontana non prendeva la decisione del come agire su quella maledetta tela, e a quel punto si avviava a fenderla davvero al modo che gli era scattato dentro. Stando così le cose Fontana si rifiutò recisamente di farsi fotografare mentre faceva il taglio a favore di macchina fotografica: “Ho bisogno di molta concentrazione. Cioè non è che entro in studio, mi levo la giacca e trac!, faccio tre o quattro tagli […] solo quando mi sento sicuro, parto, ed è raro che sciupi una tela, devo proprio sentirmi in forma per fare queste cose”. Non era un atto il suo, era un rito ed è quel rito che Mulas ritrasse nella fulgente serie di foto chiamate “The Waiting”, l’attesa.

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