Una scena da "Bastardi senza gloria" di Quentin Tarantino (Olycom)

Uffa!

Il vento di morte che s'abbatté su Parigi in quei due giorni di luglio del 1942

Giampiero Mughini

C'è  un romanzo di Romain Slocombe, inedito in Italia, che racconta quella pagina buia: in due giorni, poliziotti e gendarmi francesi rastrellarono oltre tredicimila ebrei rifugiati a Parigi. Non ebbero bisogno dell'aiuto di nessun soldato tedesco

16 e 17 luglio 1942 a Parigi, i due giorni in cui novemila tra poliziotti e gendarmi francesi – l’equivalente di una piccola divisione di un esercito in guerra – si misero alla caccia dei tantissimi ebrei di origine straniera che si erano rifugiati nella capitale francese, e ne rastrellarono oltre tredicimila ivi compresi quattromila men che sedicenni. Gli arresti dovevano procedere il più rapidamente possibile, senza parole e commenti “inutili”. E quanto ai cani che s’erano trovati benissimo in quelle famiglie, i poliziotti li affidarono al portiere di ciascun isolato, ne facesse quello che voleva. Nel portare a termine questa impresa, la più raccapricciante della moderna storia francese, non ebbero bisogno dell’aiuto di un solo soldato tedesco. Quello che nella storia dell’olocausto passa dopo Adolf Eichmann come il numero due nella scala dei boia, il ventinovenne capitano delle SS Theodor Dannecker (catturato dagli americani, si sarebbe suicidato il 10 dicembre 1945), aveva sì concepito lui il tutto ma al dunque non ebbe bisogno di muovere un dito. Ci pensiamo noi, avevano detto in buona sostanza i francesi agli occupanti nazi che esigevano la cattura di almeno ventiduemila ebrei. A questa operazione i tedeschi diedero la denominazione “Vento di primavera”, laddove era un vento che sapeva esclusivamente di morte.

Il nome dello scrittore francese Romain Slocombe (nato a Parigi nel 1953) è relativamente poco noto in Italia, dove sono stati tradotti solo tre o quattro dei suoi trenta e passa libri. Ho detto libri e invece sarebbe meglio dire opere, dato che Slocombe è un artista che ha molte frecce al suo arco: romanziere, illustratore, fotografo, persino regista cinematografico. Per merito dei due bricconi che nei primi Novanta avevano messo in piedi a Bologna un allettante covo librario (“Mondo Bizzarro”) particolarmente dedito a tutta la gamma dell’erotica, mi ero imbattuto in Slocombe già ai suoi debutti. A cominciare dal City of the Broken Dolls del 1997, il libro in cui Slocombe fotografa delle giapponesine bendate e malconce a renderle eroticamente avvincenti. Era il tempo in cui fingevo di fare il giornalista e difatti andai a intervistare Slocombe nel suo studio parigino non lontano dalla Gare Montparnasse, uno studio che mi sembrò come avvolto nella cultura di un Giappone in cui Slocombe aveva vissuto a lungo. Erano gli anni in cui lui stava cavalcando alla grande la maniera del romanzo poliziesco (in francese “polar”) stile Série Noire, e ne venne fuori la formidabile quadrilogia di romanzi ambientati in Giappone denominata “La Crucifixion en jaune” di cui purtroppo non ho letto l’ultimo, pubblicato nel 2006. E questo perché lo avevo un po’ perso di vista Slocombe, finché a furia di frugare alla ricerca di libri non ho avvistato un’altra sua allettante serie romanzesca, quella cui funge da baricentro il personaggio dell’ispettore di polizia Léon Sadorski. Uno che nella Parigi occupata dai nazi ci si mette di buzzo buono nell’andare a caccia di ebrei, e non perché sia costituzionalmente antisemita e bensì perché è quello che gli dicono di fare i suoi superiori. Ho letto il primo volume della saga, L’Affaire Léon Sadorski del 2016 (meritoriamente tradotto in Italia da Fazi), ma ho capito che quello che faceva al caso mio era il secondo volume della saga, L’Étoile jaune de l’inspecteur Léon Sadorski edito nel 2017 (purtroppo non ancora tradotto in Italia), un romanzo che fin dalla prima pagina ti fa capire che il suo apice narrativo saranno le due dannatissime giornate del luglio 1942. Quello di Slocombe è un romanzo, ma tutto vi è particolarmente reale, tanto i luoghi e le circostanze dell’azione narrata quanto i nomi dei personaggi, corrispondenti a quelli di gente che si trovò esattamente in quelle situazioni. Sonia Guttman, la studentessa di lettere che in una scena del libro ha di fronte il poliziotto Sadorski cui ribatte colpo su colpo, porta il nome di una studentessa ebrea morta ad Auschwitz-Birkenau.

Al fine di raccontare al meglio la “rafle” del luglio 1942 Slocombe ha perlustrato a fondo documenti, testimonianze, libri sull’argomento. I novemila uomini di cui avevamo detto s’erano ben armati per portare la guerra contro donne, vecchi, bambini. I francesi ci tenevano a fare bella figura, a dimostrarsi affidabili. O forse pensavano che se lo avessero giostrato loro il “vento di primavera”, ne sarebbe stato risparmiato quel centinaio di migliaia e passa di ebrei francesi che vivevano a Parigi? Quando si incontrarono nei giorni immediatamente adiacenti all’azione criminale, che cosa si dissero esattamente Dannecker e il trentatreenne capo della polizia francese, quel René Bousquet che era un vanto dell’apparato statale francese e al quale François Mitterrand – uno che lo sapeva al dettaglio com’erano andate le cose durante “l’occupazione” nazi – mantenne una sua speciale amicizia fino all’ultimo. Fino a quel 1991 in cui Bousquet venne incriminato in Francia per il suo concorso alla “rafle”, solo che l’8 giugno 1993 uno squilibrato bussò alla sua porta e lo uccise come un cane. Nel luglio 1942 Bousquet aveva offerto ai nazi il destino degli ebrei di origine straniera pur di salvare gli ebrei francesi? E’ una domanda straziante al solo formularla, ma che cosa avrebbe potuto fare di meglio un funzionario francese che aveva di fronte dei nazi ai quali bastava uno schiocco di dita per sbranare la Francia reale?

E comunque il dettagliatissimo racconto di Slocombe è raggelante. Non credo si inventi nulla quando scrive di una donna ebrea scaraventatasi giù dal quinto piano dopo aver buttato le sue due figliolette, o di un vecchio ebreo che non era in casa quando gli portarono via l’intera famiglia e che si uccide buttandosi sotto le ruote di un’auto. Tutte cose possibilissime nei due giorni parigini del luglio 1942.