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I travestiti di Lisetta Carmi, fotografie che segnano un'epoca del Novecento

Giampiero Mughini

Lei che era destinata a diventare la più grande fotografa italiana, aveva poco più di quarant’anni la notte di Capodanno del 1965. Percorreva uno dei viottoli di Genova cari a De André quando incrociò i personaggi che avrebbe fotografato per i sette anni successivi. Le disgrazie iniziali e un libro di culto

Erano i viottoli del centro storico di Genova cari a Fabrizio De André dove un tempo avevano vissuto gli ebrei, tanto che una piazzetta di quello spicchio della città ligure si chiamava piazza degli Ebrei e finché dopo il settembre 1943 non arrivarono i nazi a cassarne il nome. Destinata a diventare la più grande fotografa italiana, Lisetta Carmi (nata nel 1924, morta il 5 luglio 2022) aveva poco più di quarant’anni la notte di Capodanno del 1965 quando dopo aver percorso uno di quei viottoli  entrò in una casa dove sostavano alcuni dei personaggi ai quali l’ex ghetto era divenuto campo di vita e di azione. Ossia “i travestiti”, uomini che vestivano e si atteggiavano da donne, uomini che con tutto il loro essere si sentivano donne e si volevano donne e che si prostituivano perché altri sbocchi di che vivere la società italiana del tempo a loro non ne offriva. 

 

La Carmi venne immediatamente attratta da quei personaggi che avevano una loro vita e che al contempo erano come respinti da una società che non ne voleva sapere di quel che erano davvero. Laddove la Carmi di quegli esseri umani voleva catturare gli sguardi, le attese palpitanti, le sfumature del loro stare al mondo. E che di meglio di una macchina fotografica per condurre questa scoperta di un’umanità nascosta ai più? Per nientemeno che sette anni di fila la Carmi scattò qualcosa come duemila immagini. Non per adulare quella sorta di umanità ma per mostrarla aspra com’era, assieme riluttante e spavalda. Foto di volti da cui trapelava l’angoscia della devianza e non certo il desiderio sessuale, di capelli ammaestrati alla maniera femminile, di labbra più vere quando erano serrate che non quando si aprivano in un sorriso, di persone che disperatamente cercavano di esser riconosciute come tali. Ne scaturì nel 1972 un libro, I travestiti, edito in tremila copie da una casa editrice nata per l’occasione e che ci si era messa una squadra d’eccezione ad apprestarlo. Foto della Carmi a parte, lo psicanalista Elvio Fachinelli ne aveva scritto un’aguzza prefazione, Giancarlo Aliprandi ne aveva curato il montaggio fotografico e l’impaginazione, le riproduzioni erano opera della pregevole stamperia Bassoli, la carta proveniva dalla cartiera Burgo. Il color rosa della copertina contrastava duramente con lo sfacciato primo piano di uno dei travestiti genovesi fotografati dalla Carmi. Solo che quasi nessun giornale ne volle accennare nelle sue pagine, che la grandissima parte delle librerie non ne volle sapere non dico di metterlo in vetrina ma nemmeno di tenerlo su un qualche scaffale pur lontano dagli sguardi dei clienti. In tutto e per tutto solo una libreria romana ne organizzò una presentazione dov’erano in prima fila Alberto Moravia e Dacia Maraini. Se ne vendettero pochissime copie e il gran quantitativo delle copie restanti divenne un ingombro da mandare dritto dritto al macero. Non fosse che un’amica della Carmi, la scrittrice romana Barbara Alberti, noleggiò un camion con cui salvare quelle copie e trasportarle a casa sua. Dove nel corso degli anni le andava regalando agli amici. E questo finché in uno dei tre tomi del suo The Photobook: A History che funge da bibbia di noi amanti dei libri di fotografia, il fotografo inglese Martin Parr incluse I travestiti nel novero delle più smaglianti narrazioni fotografiche del Novecento. A quel punto il libro della Carmi divenne una leccornia per i collezionisti, e tanto più che la Carmi si era ripetutamente rifiutata di bissare l’edizione del 1972. In questo momento non ce n’è alcuna copia su internet, copia che ci vorrebbero almeno mille euro per acquistarla. Nel frattempo una casa editrice specializzata in libri di fotografia, la Contrasto, ha appena pubblicato una sorta di supplemento al libro del 1972, I travestiti. Fotografie a colori, un gruzzolo di fotografie a colori che la Carmi aveva scattato a suo tempo e che erano rimaste in un cassetto. Beninteso, era e resta il bianco e nero la veste ideale di quelle sue foto di mezzo secolo fa, il crudo bianco e nero del libro del 1972.

 

Un mezzo secolo durante il quale in Italia l’amore per il libro fotografico è cresciuto esponenzialmente. Ho avuto la fortuna di conoscere il fotografo siciliano Fernando Scianna già all’inizio dei Sessanta tanto da avere organizzato la presentazione a Catania delle Feste religiose in Sicilia, il libro del 1965 dove le sue foto duettavano con i testi di Leonardo Sciascia. Sono orgogliosissimo di avere una copia firmata da entrambi di quel mirabile libro, che su internet viene offerto oggi a cifre varianti dai 400 agli 800 euro. Lungo tutto il Novecento e per ogni stagione della nostra storia culturale c’è un libro di fotografie che è come se la marcasse. Nel luglio 1941, nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, il futuro regista cinematografico Alberto Lattuada debutta con un libro ricco di 26 tavole fotografiche, l’Occhio quadrato edito a Milano da Corrente. In piena era neorealista la casa editrice Einaudi pubblica Un paese, il libro in cui i testi di Cesare Zavattini dialogano con le foto di Paul Strand. Sono tutte datate tra ultimi Cinquanta e anni Sessanta le polaroid che Carlo Mollino scattava a invitanti fanciulle da lui scovate nei locali torinesi di allora e che verranno più tardi pubblicate in libri e librini più o meno underground. Spettacolare è New York: The New Art Scene, il libro del 1967 con cui Ugo Mulas aveva frugato a forza di foto negli studi dei pittori americani che stavano cambiando il corso dell’arte nel mondo. Ammaliante il Viaggio in Italia del 1984, il libro che raccoglie le foto di 20 fotografi italiani che Luigi Ghirri aveva spinto ad andarsene giù lungo lo stivale a raccontare quel che era divenuta l’Italia a trent’anni dalla fine della guerra. Foto dove di esseri umani ce n’erano rarissimamente. Piuttosto scorci di paesaggi, di edifici. Come sospesi, enigmatici.

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