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Le riviste che hanno “fatto” e “disfatto” il 900

Giampiero Mughini

Gli intellettuali dello scorso secolo e l'ostinazione a scrivere, mettere in pagina, correggere e fare i titoli. Da qui passava tutta la politica e la cultura. Anche Gramsci, Gobetti, Prezzolini e Terracini. Storie di tute operaie e abiti da borghese

Chiedo venia ai miei quindici lettori se uso scrivere queste note con la testa volta all’indietro, a quel che è accaduto trenta o cinquant’anni fa o anche di più. Siamo nell’Italia del 1919-1920, di quando s’è appena conclusa la carneficina della Prima guerra mondiale. Tutto della civiltà occidentale è in ebollizione, mosse che segneranno il secolo. Benito Mussolini è ai suoi esordi politici. A Torino si danno da fare attorno a una rivista dal nome Ordine nuovo quattro intellettuali men che trentenni, i quali faranno da molecola originaria di quello che sarà il Partito comunista più importante e vitale d’Europa. I loro nomi? Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Angelo Tasca.

 

Sempre a Torino è in prima linea un giovanissimo scrittore ed editore, Piero Gobetti (era nato nel 1901), le cui antenne captano ogni sussulto della realtà circostante, innanzitutto quel che è accaduto a San Pietroburgo e a Mosca nell’ottobre del 1917, quell’azzardo bolscevico che a lui pur non comunista sembra un evento che ha portato luce nel mondo. Da diciottenne, Gobetti s’era già imbattuto in Giuseppe Prezzolini, uno che era nato a Perugia nel 1882 ma che passa per un toscanaccio di primo pelo perché è nella Firenze del primo decennio del Novecento che ha dato vita dapprima al Leonardo (in collaborazione con Giovanni Papini) e poi alla Voce, due riviste che hanno cambiato passo alla lotta delle idee in Italia. Non per niente il Novecento sarà il secolo delle riviste, il secolo dove tutto della politica e della cultura comincia dalla ostinazione di un gruppo di intellettuali ad andare in tipografia per un certo numero di anni a inventare titoli e correggere bozze. La Voce prezzoliniana è un giornale di poche pagine, ha mille abbonati e non uno di più, epperò la leggono l’ancora socialista Benito Mussolini, Benedetto Croce, i futuri presidenti della Repubblica Luigi Einaudi e Giovanni Gronchi, il futuro capo politico della Resistenza Ferruccio Parri. Mussolini dirà una volta che lui è stato “fatto” e “disfatto” dalla Voce. Curzio Malaparte scriverà che gli umori e le ebbrezze tanto del fascismo quanto dell’antifascismo provengono tutti dalla Voce.

 

Prezzolini è ubiquo. Non c’è anfratto d’Italia dove lui non scovi un talento di cui valga la pena. Ed ecco che Gobetti, al tempo in cui la politica dei partiti arruolava il meglio di ciascuna generazione, gli vanta la qualità intellettuale e umana dei suoi concittadini dell’Ordine nuovo. Quello che lascia senza fiato è il ritratto che Gobetti fa dell’allora trentenne Antonio Gramsci: “Lo animava e lo anima un grande fervore morale un po’ sdegnoso e pessimista per cui a parlargli per la prima volta pare rilevare una visione scettica della vita […] Non ha mai avuto posizioni decorative e ufficiali nelle cariche del partito, del lavoro che faceva e fa nei giornali […] lascia agli altri di raccogliere il merito e i frutti e le lodi – Tutto questo per il suo abito morale di una sincerità e di una modestia davvero rara: antiparlamentarista, non accetterà certo mai una candidatura politica, fautore del sistema dei consigli operai non cercherà certo mai di diventare consigliere provinciale. In questo giovane solitario, senza affetti, senza gioie ci deve essere una grande tortura interiore, un dissidio terribile che lo ha condotto a farsi interiormente, quasi inconsciamente, apostolo e asceta. La sua tortura è cominciata colle sue condizioni fisiche: è gobbo e consumato da malattie nervose”.

 

L’accuratezza di un tale ritratto vale a invogliare Prezzolini a fare una sua conferenza a quelli dell’Ordine nuovo, ai men che trentenni i quali nel gennaio 1921 si son dati il nome di Partito comunista d’Italia e si sono strappati via dal Partito socialista di Filippo Turati, il quale dalla tribuna del congresso gli ha lanciato un “Tornerete!”, e difatti torneranno nel 1989. Possibile che un Prezzolini così fieramente antibolscevico, uno che nel 1915 è divenuto corrispondente politico da Roma del Popolo d’Italia, il quotidiano di Mussolini, vada a fare una chiacchiera in casa dei comunisti torinesi?  Ma certo che è possibile, dato che a Prezzolini interessano le persone e non le etichette politiche, e difatti il 26 febbraio 1921 lui ci va da quelli dell’Ordine nuovo, e di Gramsci scriverà che gli è apparso “uno degli uomini più notevoli d’Italia”, Ma sapete che cosa ha detto agli operai comunisteggianti dell’Ordine nuovo? Che la loro pretesa di sostituirsi come “classe” alla borghesia è priva di fondamento perché loro non hanno una cultura e un’idea della vita alternativa a quella della borghesia, tanto è vero che ognuno di loro non aspetta altro che di togliersi la tuta operaia e vestirsi da borghese. 

 

Mi chiedo se a quella conferenza fosse presente Terracini, che nel 1936 aveva 31 anni e che poco dopo il Tribunale fascista condannerà a 22 anni di carcere di cui lui ne sconterà nove. Appena arrivato a Roma, nel 1970, in morte di Amedeo Bordiga l’Astrolabio diretto da Mario Signorino mi mandò a intervistare Terracini. Solo che io non avevo nulla per vestirmi come lui voleva che lo fossero i suoi interlocutori, con tanto di giacca e cravatta. Mi prestarono l’una e l’altra. Terracini mi parlò con grande affetto di Bordiga. Al compimento del suo 85esimo anno di età, andai in Senato da Terracini per intervistarlo. Dio che vita che aveva avuto. Gli mandai copia dell’intervista perché appurasse che tutto del testo gli andava bene. Mi telefonò all’indomani e con gran garbo mi chiese di cassare un passaggio dell’intervista, quello dove diceva che per tutti gli anni del carcere alla sera lui metteva i suoi pantaloni sotto il materasso in modo che il giorno seguente fossero i pantaloni ben stirati quali si addicono al borghese elegante che lui voleva essere pur in una cella fascista. Vi ho annoiato?

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