Mikel Landa all'attacco nella quindicesima tappa del Tour de France 2019

Il volo di Eddy. Il romanzo sul Tour de France 2019 / 15

Il Prat d'Albis è un contrabbando di speranze

Giovanni Battistuzzi

Simon Yates vince la 15esima tappa del Tour de France 2019 davanti al Thibaut Pinot e Mikel Landa. Nella terza frazione pirenaica Alaphilippe è andato per la prima volta in difficoltà

La Grande Boucle non si era mai arrampicato sino al Prat d’Albis. Lo ha fatto oggi nella quindicesima tappa, terza frazione pirenaica del Tour de France 2019, seconda conquistata da Simon Yates. Anche oggi l'inglese ha centrato la fuga giusta e anche oggi l'ha portata al traguardo. Questa volta però da solo dopo aver lasciato sui pedali il suo ultimo compagno d'avventura, Simon Geschke. Al secondo posto si è piazzato Thibaut Pinot, terzo Mikel Landa. Il francese ha staccato tutti gli uomini di classifica sull'ascesa finale, lo spagnolo invece aveva tentato il colpo gobbo scattando nella penultima salita di giornata, il Mur de Péguère. Julian Alaphilippe è ancora in maglia gialla, ma per la prima volta in questo Tour si è staccato.

 

Quest'anno su Girodiruota il Tour de France sarà solo una parte di un racconto più grande: un romanzo in 21 puntate, una storia che parla di ciclismo, ma anche di altro. A seguire la quindicesima puntata (oltre il prologo) del feuilleton della Grande Boucle, quello che parte da una camera calda e va in un altrove francese, ciclistico, giallo come il Tour de France 2019. [qui trovate tutte le puntate]

 


 

Le nubi si erano stese sulle montagne, quasi il cielo volesse abbracciare l’incedere dei corridori che si stavano affaticando sulle pendici dei monti. Un camuffamento atmosferico che i ciclisti avevano deciso chissà come di prendere come spunto per scombinare ciò che sino a ieri era certo, ma che domani chissà.

 

Il vecchio vedeva quei panorami montani con occhi nostalgici di storie passate che gli si affollavano nella mente e da lì non c’era verso di farle andar via. Nelle pieghe della sua faccia Eddy osservava gerle piene di sigarette e chissà che altro. Spalle che si arrampicavano passo dopo passo tra boschi e pascoli, attraversavano crinali e raggiungevano paeselli al termine di serpentoni in ghiaia e sassi, caricavano e scaricavano bauli di ferrivecchi a quattro ruote e riprendevano la via battuta e conosciuta. Il ragazzo metteva assieme mezze parole e racconti lontani nel tempo, ma ancora vivi nella sua fantasia. Storie che il nonno mai aveva raccontato, ma che al bar tutti conoscevano e che gli si affollavano alle spalle mentre giocava ai videogiochi o mangiava un gelato oppure attendeva che la partita di biliardo dei suoi amici fosse finalmente finita. Al vecchio gli erano usciti soltanto alcuni borbottii quando la nonna aveva raccontato di quando si occupava delle vacche in quelle montagne silenziose e delle sue attese avvolte nella speranza al suo ritorno del mercato del venerdì quando portava a valle forme di formaggio grandi come la piazza del paese.

  

Quei borbottii aveva imparato a conoscerli bene. E nonno Ottavio borbottava ancora. Ma erano bofonchi pieni di contentezza mentre Mikel Landa aveva ottenuto la solitudine e aveva deciso di scomparire nella nebbia pirenaica verso la cima del Mur de Péguère. “Bravo Calimero, bravo Calimero”, sibilava mentre dal fornello della pipa saliva al cielo un filo di fumo e dalla bocca nuvolette che provavano a simulare ciò che avvolgeva il Tour de France nel caldo soffocante della cameretta.

  

Landa ondeggiava in piedi sulla bicicletta con le mani basse sul manubrio e gli occhi che cercavano di infuturarsi verso ciò che poteva essere. Un sorriso apparve tra le sue labbra come se la fatica non fosse altro che una benedizione e l’essere solo nient’altro che la massima gratificazione che la vita può concederti. “Avesse la fortuna dalla sua parte, o almeno non sempre contro, Landa avrebbe già vinto almeno una grande corsa a tappe”.

“Per questo lo chiami Calimero?”.

“Sì, perché se c’è una sola cosa che può andare storta stai sicuro che a Landa gli andrà storta”.

 

Lo spagnolo però se ne fregava della sorte e si addentrava nelle nuvole speranzoso di una nuova buona occasione. D’altra parte nel ciclismo come in molte altre cose funziona così: o ti muovi te e vai in cerca della fortuna oppure difficilmente qualcosa di buono ti arriva addosso.

 

Aveva raggiunto Amador e Soler e i due compagni avevano iniziato a spremersi chilometro dopo chilometro per recuperare tempo a chi stava davanti e guadagnarne nei confronti di chi dietro preferiva il conforto della compagnia all’incertezza solitaria dell’avanguardia. E come Landa anche Simon Yates e Simon Geschke stavano facendo lo stesso quasi due minuti avanti allo spagnolo. S’erano ritrovati in testa sul Mur de Péguère e poi giù verso valle e ancora a naso in su direzione Prat d’Albis.

“Fai male ad avercela con Yates, Eddy”.

“Ma si è comportato male con Trentin”.

“Lo ha fatto perché sapeva di essere più forte. E oggi ha dimostrato di avere coraggio. Bisogna voler bene ai coraggiosi perché senza di loro ci sarebbe un mondo di contabili e sai quanto può essere noioso un mondo di contabili? Così tanto che il discorso di fine anno del presidente della Repubblica sembra una festa”.

“Così brutto?”. Il vecchio annuì con la testa. Guardò il nipote e gli indicò il televisore: “Quelli sono ragazzi che non accettano che siano gli altri a decidere del loro futuro, preferiscono andarci contro, magari sbatterci col muro, ma si mettono in gioco e mettersi in gioco vuole dire volersi bene”. Eddy rimase in silenzio a pensare un po’. Vide l’inglese alzarsi sui pedali, staccare il tedesco e tentare di sparire dalle telecamere della moto che cercava di dribblare le auto al seguito dei corridori.

“Va bene”.

“Cosa?”.

“Non vorrò male a Yates. Però spero che Calimero lo raggiunga perché Yates ha già vinto e Landa no. E anche lui si merita di vincere”.

  

Ma mentre i chilometri all’arrivo diminuivano velocemente, non altrettanto faceva il distacco: Yates e Landa salivano alla stessa velocità. Chi invece aveva iniziato a guadagnare era Thibaut Pinot che si arrampicava verso la cima del Prat d’Albis tutto solo dopo aver seminato tutti lungo la strada. Era scattato e si era sbarazzato di mezzo gruppo, poi anche della maglia gialla, infine di Buchmann e Bernal.

 

 

Pinot aveva una faccia contenta e soddisfatta, un sorriso che nonno Ottavio vedeva ogni Natale quando Eddy gli andava incontro, gli saltava addosso e poi strappava la carta del regalo che gli aveva portato. Si stava facendo un gran regalo. Quella di Julian Alaphilippe invece era un po’ fosca, molto più scura di quella che aveva portato in giro per la Francia in questi ultimi giorni. Erano occhi che cercavano appigli montani, denti che si stringevano e afferravano forte la speranza che tutto possa conservarsi così com’era sino a pochi chilometri prima, narici che si aprivano alla ricerca della traccia giusta. Perché a volte una traccia è tutto ciò che ci rimane e perderla vuol dire dover abbandonare anche i sogni.

 

[continua...]

 


 

Il meglio della quindicesima tappa del Tour de France 2019 vinta da Simon Yates

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