Terrazzo

Il trono della Silicon Valley è in (s)vendita

Michele Masneri

Chiudono gli uffici, gli arredi finiscono nei magazzini. E a nuovi fortunati proprietari.

Finalmente una bella crisi. Il popolo della Silicon Valley è abituato ad approfittarne: di solito per comprare casa. Coi costi micidiali (oltre diecimila al metro il prezzo mediano a San Francisco), si aspetta la bolla che arriva frequente per poter metter su l’agognata catapecchia in legno. Oppure l’incendio. In una delle case in cui ho abitato, una ex lavanderia riconvertita a coworking nel pianterreno e appartamenti di sopra, c’era una foto di un tizio incorniciato, ed era non un parente ma un vigile del fuoco; la casa era infatti andata a fuoco e il mio landlord aveva comprato la fumigante carcassa, poi rimessa in piedi con un mutuo Ninja, e il pompiere era il santino di quell’avventura. Anche con la attuale nuova crisi della Silicon Valley e la fuga di cervelli verso Austin Texas e non solo, tanti son contenti, i prezzi magari si abbassano e qualcuno che non sia un magnate tecnologico può tornarci ad abitare, dicono. 

 

Però adesso la novità è che si approfitta non solo per comprare casa, ma anche per quello da metterci dentro. Il New York Times del weekend dedica un bellissimo servizio fotografico agli arredi per ufficio che hanno invaso negozi veri e virtuali, risultato dei mega licenziamenti nella valle. Salesforce ha annunciato 7.000 tagli, Meta, la vecchia Facebook, ne ha fatti fuori 11 mila, Google 12. Si calcola che nella Bay Area siano stati tagliati 88 mila posti in totale.

  

Come si sa, infatti, le aziende stanno licenziando a tutta birra, non si capisce se per reale necessità o per moda. Tra le conseguenze più peculiari, intanto lo choc per una generazione – lavoratori tecnologici da sempre coccolati con bonus, stock option e cuochi aziendali – che non aveva mai verificato cosa volesse dire la disoccupazione (un po’ come se, al contrario, improvvisamente ai millennial italiani venisse offerto un posto fisso e un buono stipendio e pure lo yoga compreso). E poi l’olocausto del mobile per ufficio. Così finalmente i giovani sanfranciscani possono approvvigionarsi tra gli enormi saldi di poltroncine, scrivanie e lampade che alle aziende non servono più. In particolare un mobile è protagonista.

 

Improvvisamente, scrive il New York Times, uno dei simboli del successo startupparo scompare da una parte e si ritrova dall’altra. Scompare dalle sale riunioni di Market Street e si ritrova nelle riunioni Zoom nelle catapecchie. La Aeron Chair, la poltroncina super tecnologica e molleggiata nata nel 1994 prodotta da Herman Miller, che costa di listino oltre mille euro, è detta “dot come throne”, il trono tecnologico. Termometro del settore, più se ne trovano in vendita usate e più il settore tecnologico è in crisi. Aerodinamica e sinuosa, ha sostituito nell’immaginario la Aluminium Chair di Charles e Ray Eames dei vecchi boss di Wall Street. Ecco che su Craigslist, il sito di annunci, nella sezione di San Francisco, oggi se ne trovano tantissime a 400, anche 350 dollari, fotografate a blocchi di 40 con tantissime loro consorelle in enormi magazzini, e chissà se su quelle tecnologiche trame stavano seduti i meglio ingegneri cacciati dall’indemoniato Elon Musk o chi altri.  A Twitter peraltro hanno fatto un’asta di sedie e arredi che non servivano più, visto che Musk ha deciso di non pagare più l’affitto per diversi suoi uffici. 

 

Decine di annunci presentano invece scrivanie in perfetto stato che costano 150 dollari, anche in versione telescopica alzabile, che era una delle ultime mode di quando la Valle era fiorente, unendo la mania del fitness californiano con l'attitudine nerd siliconvallica (i più fanatici lavoravano in piedi, e la tenevano ad altezza spalle, la scrivania, mentre camminavano su un tapis roulant; una volta ho provato e stavo finendo al pronto soccorso). Ogni azienda poi aveva un suo stile; Dropbox coi suoi arredi fighetti è una delle più ambite: dai suoi uffici c’è una serie di poltrone “Orso polare” di Jean Royère che vengono via a mille euro, un decimo del loro valore (ma sui siti non riesco a trovare invece quei distributori di cereali che erano diventati il simbolo dell’arredo siliconvalluco, non c’era quartier generale di startup che non avesse il suo distributore di cereali. Forse li avranno buttati e basta, finalmente liberi dalla granola).

 

Ma questa storia non è solo triste: intanto non è una vera crisi come quella delle dot com degli anni duemila. Qui è più un aggiustamento, le aziende vanno bene, sono solo i listini di borsa crollati e i timori per il futuro, nel dubbio si taglia. In più c’è stato il Covid e la decisione di spostare molti in smart working (questo termine che esiste solo da noi, in America si dice con meno fantasia work from home). Sì, gli uffici vuoti sono passati dal 4 al 28 per cento, ma ovviamente, siccome siamo nella Silicon Valley, stanno nascendo tutta una serie di aziende che si occupano di piazzare questi arredi, startup come ReSeat, o Enliven Mart, che vendono mobili usati con grande successo. E tra i loro capi e capetti, c’è da scommettere, allignerà il solito, dirigenziale, intramontabile tronetto.  

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).