Terrazzo

Francesco Vezzoli rielabora il mito di Leonor Fini

Michele Masneri

A Milano la mostra dell'artista bresciano che racconta la pittrice, scrittrice, designer, creatrice di un mondo femminista-onirico-gattofilo

Inaugura venerdì presso la galleria Tommaso Calabro di Milano “Leonor Fini-Italian Fury as dreamed by Francesco Vezzoli”, la mostra ideata dall’artista bresciano che continua il suo ciclo di ritrovamento e messa a punto di miti e celebrità artistico-sociali. La definizione ("Furia italiana, scandalosa eleganza, capriccio e passione") non è proprio di un passante, ma di Max Ernst, uno dei molteplici protagonisti che la pittrice triestino-argentina incontrò nella lunga e variegata vita (1907-1996). Le oltre quaranta opere qui presentate non sono solo di Fini ma del vasto mondo da lei creato. A partire dal marchese romano Stanislao Lepri (1905-1996) che lei convinse ad abbandonare la carriera diplomatica per dedicarsi interamente, con profitto, alla pittura, oltre che a sé.

 

Vezzoli, che già aveva affrontato la leggendaria personaggia con le opere "An Embroidered Trilogy" e "Enjoy the New Fragrance (Leonor Fini for Greed)", qui si rifà (in quattro): ecco quattro ricami sulla faccia pazzesca della Fini e un enorme bottiglione di profumo “Shocking”, ricreato sul modello di quello vero creato dalla Fini nel 1937 per Elsa Schiaparelli con cui collaborava, e raffigurante il corpo di Mae West. Perché la poliedrica artista aveva anche una “collabo” con tanti brand (anche con Simonetta Colonna, nota anche come Simonetta Fabiani, in quel periodo storico dell’alta moda romana in cui le nobildonne si davano al fashion).

 

Il mondo di Leonor Fini qui è esploso  nel rifacimento ad affresco del quadro di Lepri "La chambre de Leonor" (1967) che avvolge le pareti, tra i gatti e le sfingi presenze costanti della loro vita da scappati di casa très chic. Fini nasce a Buenos Aires il 30 agosto 1907, da madre italiana e padre argentino. La madre si separa e rientra a Trieste.  Il padre tenterà di riportarsela via in ogni modo, anche ricorrendo al rapimento, ma la mamma provvidenziale la travestirà da maschio – abitudine che alla bambina rimarrà per sempre,  per scandalizzare i vicini di casa e non solo, per girare per la città, per tutto, in una dimensione "altra" che è sia trasgressiva sia tipica di una certa società aristocratica del suo tempo, quella dei bal masqués. Lei presenzia all’ultimo del genere, quello a palazzo Labia del ’51. Vent’anni prima del Ballo in bianco e nero capotiano, c’erano, mascherati all’orientale, i Rothschild e i Radziwill, Farouk d' Egitto, Elsa Schiaparelli, qualche sorella Mitford; e Cecil Beaton vestito da prete, Doris Duke, Fulco di Verdura, Jacqueline de Ribes, Barbara Hutton vestita da cicisbeo settecentesco, l' Aga Khan truccato da idolo orientale, Orson Welles con un turbante di fortuna. E lei, in forma di angelo nero, con vere piume d’uccello.

 

Era cresciuta nella Trieste leggendaria di Joyce, Svevo e Saba, e aveva iniziato a dipingere da autodidatta, poi a Milano conosce Achille Funi e il futurismo. A Parigi il surrealismo (Ernst, Eluard e Victor Brauner). Una foto di Cartier Bresson la ritrae in una piscina, completamente, scandalosamente nuda (è il’33). Nel 1936 espone alle mostre collettive “International Surrealist Exhibition” alle Burlington Galleries di Londra, e “Fantastic Art, Dada, Surrealism” al MoMA, mentre la sua prima personale si tiene nel 1938 alla Julien Levy Gallery di New York con un’introduzione al catalogo di Giorgio de Chirico. Durante la Seconda guerra mondiale risiede a Montecarlo – dove conosce il console d’Italia, Lepri, poi suo compagno per la vita, e dipinge numerosi ritratti, diventando la ritrattista preferita dell’alta società italiana. E in mostra ecco un who’s who da Circolo della Caccia pittorico. Luchino Visconti magrissimo e accigliato; Alida Valli, in due versioni. Esmeralda Ruspoli. Dei Borromeo.  

 

E' stata anche costumista della Scala, e romanziera e illustratrice. Le sue più note grafiche furono quelle redatte per "Histoire d’O". Il suo era un immaginario bambinesco-gotico, un femminismo molto avanti per l'epoca, con interni in pelle e costellato di gatti, costante della sua vita e della sua opera, sbucando da ogni angolo un po’ alla Balthus.  Quando ha vissuto, brevemente, a Roma, stava a palazzo Altieri, lo stesso della Magnani, con cui condivideva l’amore felino. Insieme a una terza star gattofila, Elsa Morante, saranno chiamate “le tre gattare” (esiste un fitto carteggio felino tra la Morante e la Fini, tutto solo su gatti). Poi torna a Parigi. Dove morirà il 18 gennaio 1996.

 

E’ sepolta a Saint-Dyé-sur-Loire, località in cui si trovava la casa di campagna dell'artista polacco Konstanty Jelenski, “Kot”,  terzo di una “troppia” che comprendeva lei e il suo Lepri. Fini teorizzava infatti la necessità che una signora avesse accanto un amante, e pure un amico, e insomma tanti “amis amoreux”. Lo sarà anche Ernst, con la moglie Dorothea Tanning. Ci sono foto pazzesche di loro in vacanza in Corsica, dove ebbero un monastero in affitto negli anni Cinquanta, pre-Agnelli. Ospiti: Andy Warhol, Elsa Morante, Federico Fellini, Jean Genet. E loro, tutti mascherati, tutti contenti, tra i felini.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).