Pasolini e Moravia a pranzo, anni Sessanta (Foto: Publifoto/Olycom)

Terrazzo

La vita di Pasolini è anche un grand tour immobiliare romano

Michele Masneri

Dal Ghetto, al Pigneto, dall’Eur a Sabaudia. Viaggio nella Roma di PPP

L’anniversario più anniversario di tutti, il centenario pasoliniano, questa grande storia italiana, è, in quanto italiana, anche una gran storia immobiliare.

Come tutti i forestieri inurbati a Roma, la conquista fu anche e soprattutto abitativa. Prima, una fase di ghetti, reali o metaforici. Pasolini arriva a Roma nel ’50 e va a stare a piazza Mattei a palazzo Costaguti, grazie a uno zio benestante, con vista sulla fontana delle Tartarughe, e la mamma finita a far la serva, con orgoglio comitale offeso, perché in fondo i Pasolini son sempre i conti Pasolini, anche in versione “dall’Onda”, della augusta salvatrice di dimore recentemente scomparsa, dal nome arbasiniano di Desideria. Anche se decaduti: e lo scriveva Enzo Siciliano nella “Vita di Pasolini” ma non bisognava dirlo, forse.

La ricerca e conquista della casa è centrale nella vita e nel pensiero pasoliniano: in “Poesia in forma di rosa” (1962) c’è, certo, la cara mamma della “Supplica” ma anche e soprattutto “La ricerca di una casa” con le ansie immobiliari ed esistenziali del poeta; e “Mamma Roma” naturalmente è anche la storia di real estate sbagliati: la sora Roma mette via i soldi per cambiare casa e quartiere e far vivere il figlio da signore, tre ingredienti che come insegnerebbe qualunque romanzo anche minore balzachiano invece la perderanno per sempre. Abbandona così un palazzo assiro-babilonese dove conosce tutti, con un suo standing d’epoca, come scriverebbero negli annunci, e tutto un suo stile un po’ tirolese, con portale sovrastato da cervi, a Casal Bertone, e si trasferisce invece in una Ina-Casa al Quadraro, con controsoffitti e tapparelle, tra cementite alluminio anodizzato e nuovi orridi condomini e condòmini, e il parco degli Acquedotti sullo sfondo, dove subito il figlio Ettore socializza con la peggio gioventù.

Anche PPP cambia continuamente casa, e coi miglioramenti economici sale dai quartieri disgraziati alle micro e macroborghesie: prima Monteverde Nuovo, a via Fonteiana 86, poi Vecchio, via Carini 45, strada di aristocrazie creative e di psicanalisti e registi, e va a abitare nella stessa palazzina del poeta Attilio Bertolucci, e un giorno c’è la famosa scena di Pasolini che non viene fatto accomodare da un Bernardo Bertolucci bambino molto sospettoso circa il tratto sospetto del Poeta. Poi BB gli farà d’aiuto regista in “Accattone”. Si gira al Pigneto, che poi diventerà tempio del massimo culto e city branding pasoliniano: “Erano giorni stupendi, in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, dalla sua furia. Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa semplicità” scrive PPP. Il romanzo pasoliniano è anche d’annunci, fino a pochi anni fa si trovava sulle inserzioni un appartamento “oggetto del film ‘Accattone’”

E però la prima casa del poeta, quella a Rebibbia, comprata nel ’51, e vissuta solo fino al ‘53, è andata recentemente all’asta, deserta (il brand Tiburtina non può competere con quello Pigneto, è chiaro).
Quando conosce Ninetto Davoli, partono in vacanza, loro due insieme alla Betti, gelosa, che fa le scenate (che idea, portarla). Lettera di richiamo del poeta, all’amica: ti ho messo giù il telefono e lo rifarò anche, se lo tratterai di nuovo male come a Venezia. Ninetto, in un’intervista a Gianni Borgna: “La prima volta che ho visto una vasca da bagno è stato a casa della Betti, a via del Babuino. Io non avevo mai visto una vasca, me pareva na bara”. Gli piace molto il bagnoschiuma Badedas. Ninetto fa “il Vangelo secondo Matteo” (1964), “Uccellacci e uccellini” (1966) e “Il fiore delle mille e una notte” (1974). Nel 1975 con Pier Paolo vanno a Stoccolma, alla consegna del Nobel a Montale; Pasolini ha un vestito blu, elegantissimo, col quale pochi giorni dopo Ninetto lo seppellirà. Ninetto nel frattempo si sposa, e chiama i suoi figli Pier Paolo e Guidalberto, come il fratello del poeta ucciso in guerra.

A quarant’anni Pasolini arriva infine all’Eur, a via Eufrate 9, in un quartiere tutto nuovo, che ha meno anni di lui: sarà, come previsto, “la casa della mia sepoltura”; palazzina borghese e “bene” accanto alla cupoletta dei Santi Pietro e Paolo, travertino piacentiniano, sembra appunto una cappella di famiglia un po’ Cascella. Però nel giovanile “Mio desiderio di ricchezza” aveva scritto: “Un attico pieno del sole antico / e sempre crudelmente nuovo di Roma / costruirei sulla terrazza una vetrata / con tende scure, di impalpabile tela / ci metterei, in un angolo, un tavolo / fatto fare apposta, leggero, con mille cassetti, uno per ogni manoscritto”. E poi, precise scelte di design, ottimiste: “Vorrei un bel Morandi, un Mafai, del quaranta, un De Pisis, un piccolo Rosai, un grande Guttuso”.

Invece, nella realtà, a via Eufrate, non attici ariosi, ma appartamenti di decoro borghese, termosifoni; mobili d’epoca anche pesanti. E non De Pisis né Guttuso ma l’”Autoritratto con fiore in bocca” baconiano fatto da PPP nel 1947 (mentre a casa Arbasino, si sa, campeggiava il doppio autoritratto fatto con le loro due facce sovrapposte, inquietante pure quello). E la Mamma del Poeta sfinita da tante attenzioni, in nero e perle, quella di “Supplica” (1962), e lì si vituperavano “palazzine di lusso per i dirigenti transustanziati in frontoni di marmo, loro duri simboli, solidità equivalenti”.

Proprio come all’Eur: dirigenti transustanziati e tanta metafisica da tagliarsi col coltello. E le ville di Totti, e la Nuvola, e EuRoma2. Forse il posto giusto per scappare continuamente. “Il cuore mi batte di gioia di impazienza di orgasmo. Solo, con la mia Millecento e tutto il sud davanti a me. L’avventura comincia”. Parte per i Comizi d’amore, con puntate a Milano tra le fabbriche, poi tra contadini a Modena, in spiaggia a Viareggio tra i pischelli; a Firenze tra gli artigiani, poi vicino casa, tra i militari della Cecchignola; poi Ostia, Venezia Lido, con special guest Cederna, Cambria e Fallaci. A parlare di “sesso, inibizione, ipocrisia e convenzioni sociali”, con “la tecnica dei cinegiornali scandalistici”, e Michel Foucault scrive complimentandosi, i Comizi gli son piaciuti molto.

Intanto sono arrivati i soldi, la Millecento viene sostituita con l’Alfa Romeo Gt Veloce 2000. Arriva il vituperato benessere e arrivano le seconde case: una torre in un bosco a Chia, tra Orte e Viterbo, dove scrive Petrolio e disegna quattro strani ritratti di Roberto Longhi, e si fa ritrarre nell’ultimo servizio fotografico, da Dino Pedriali. E poi Sabaudia, soprattutto, in comproprietà con Moravia (forse l’investimento immobiliare migliore, alla luce di tutto).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).