Fausto Lama e California (Francesca Mesiano) sono i Coma Cose, qui durante la loro esibizione a Sanremo 2021 (foto Matteo Rasero/LaPresse)

Terrazzo

"Se ci vanno tutti, uno cosa ci va a fare fuori città?". L'intervista a Fausto Lama dei Coma_Cose

Michele Masneri

La Milano pre e post Expo e quella dei video. I navigli, il Gallaratese, Milano Nord che non esiste. E quell’odore di cemento che significa nostalgia.  

I Coma_Cose, duo molto in ascesa composto da Fausto Lama e California (Francesca Mesiano) hanno chiaramente uno spiccato lato architettonico-real estate.

 

Nei loro video, un po’ maliconici e minimalisti, la città ha sempre un ruolo principale. E se Francesca ha studiato scenografia, “mio padre faceva il geometra e io stesso andavo spesso in cantiere, da ragazzo”, dice Fausto al “Foglio”. “Ci ho lavorato anche come muratore. L’odore dei sacchi di cemento ce l’ho ancora nel naso. Da una parte l’odiavo: da ragazzino, i miei amici andavano a fare le ronde nei campeggi del Lago di Garda in cerca di amicizie straniere, mentre io dovevo stare in cantiere. Però poi il cantiere mi ha insegnato la disciplina del lavoro. Quando parti da un campo e dopo un’estate lì c’è una casa costruita, e dici, ‘l’abbiamo fatta noi, in dieci, quindici, una squadra’, è una bella soddisfazione. Così questo spirito l’ho portato anche nella musica, ahimé, perché a volte sono un po’ troppo dittatoriale...”. Sei rimasto capocantiere. “Ma un po’ di rigore nella musica serve”.

 

Il duo, che è in tour fino a settembre (tra le varie tappe, il 27 agosto saranno a Roma, all’Auditorium), è molto legato a Milano, anche se entrambi vengono da fuori (Fausto appunto dal Lago di Garda, e Francesca da Pordenone). E la loro storia è parallela a quella della nuova Milano: si sono incontrati lavorando in un negozio al Ticinese, ognuno dei due avendo abbandonato un po’ i propri sogni, Fausto quello da cantautore, e Francesca scenografa-designer. “Siamo arrivati a cavallo con l’Expo, io vivevo al Naviglio Pavese, Francesca vicino a piazza Cinque giornate: dei Navigli abbiamo vissuto tutta la riqualificazione, l’arrivo del turismo, sentivi che succedeva qualcosa. Adesso Milano si è assestata e cerca una nuova dimensione. La sensazione è che sia la calma prima di qualcosa di forte in arrivo”.

 

Intanto il successo, arrivato tutto insieme dopo l’ultimo Sanremo, fa un po’ strano. Vissuto con realismo bresciano e disciplina da capocantiere. “Molto diverso da come lo immaginavo”. Perché un po’ l’aveva già provato, da solista. Poi pensava d’avere chiuso. Invece no. “Ma forse è un bene che succeda a quarant’anni. Soprattutto oggi che tutto è molto veloce, e non è difficile diventare famosi anche da giovanissimi, se ti muovi bene sui social. Ma poi, a quarant’anni, cosa si fa? E’ difficile tenere botta, arriva sempre qualcuno di nuovo”. E allora “meglio restare coi piedi per terra, gestirla con una certa lungimiranza”. “Perché in questo mestiere c’è una parte artistica, di pancia, e poi quella tecnica, di lavoro, che ti gratifica moltissimo”.

 

E il padre geometra, è orgoglioso? “Fino a un certo punto: lui non è che fosse tanto contento di questo hobby che avevo, la musica. Adesso però direi di sì, soprattutto dopo Sanremo, e da quando mi vede sui giornali. Anche se per lui contano soprattutto il Giornale di Brescia e Bresciaoggi, che legge al bar, col caffè. Finalmente ha capito che lavoro fa il figlio. Ma se avessi avuto un altro tipo di genitori magari non ce l’avrei fatta, sai, quei genitori che ti assecondano sempre, quelli che magari ti regalano il pianoforte. Con dei genitori così non avrei dovuto dimostrare sempre tutto. E a trentacinque anni non mi sarei rimesso in discussione”.

 

Intanto i Coma_Cose continuano a esplorare la città che cambia. Saranno biciclettari della nuova generazione di milanesi a due ruote? “Più che altro siamo camminatori. Ogni giorno facciamo almeno dieci chilometri. Scegliamo delle mete, di volta in volta, e camminiamo. Oggi andiamo in Paolo Sarpi, per esempio. Ma possono anche essere negozi. E’ una scusa per vedere meglio la città”. La Milano di Fausto però è sempre “Centro-Sud. Abbiamo vissuto a Lambrate, poi in Cinque giornate, poi in Sant’Agostino. Ma mai più su. Per me Milano Nord è un mistero. In Maciachini per quanto mi riguarda potrebbero abitarci uomini con tre occhi”.

 

Uno dei loro video più architettonici è Post concerto, del 2018, ed è stato girato al Gallaratese, il quartiere progettato da Carlo Aymonino di cui è in corso la grande mostra alla Triennale. “Abbiamo scoperto quel quartiere semplicemente cercando su Google”, racconta Fausto. “All’epoca, dei video me ne occupavo io, ed eravamo alla continua ricerca di posti interessanti dove girare. A un certo punto abbiamo trovato que- sto che sembrava un po’ Seoul, e un po’ Sudamerica: davvero molto esotico. Così abbiamo detto: andiamo a vedere. Quando siamo entrati dal cancello, di nascosto, perché è aperto solo ai resi- denti, ce lo siamo visitato tutto, siamo rimasti molto affascinati da questa struttura che è molto atipica e mastodontica. Non era fatiscente, al contra- rio, è tenuta molto bene. Ma sembrava disabitata, è comunque isolato, in mezzo al nulla”.

 


Il Gallaratese sta vivendo una seconda vita musical-cinematografica. “Sì, ormai è un set a cielo aperto. C’erano già stati i Casino Royale, ma anche adesso è un continuo”. Ci hanno girato Annalisa (con Rkomi), Fede Kampa. Anche Zero, l’ultima serie Netflix, assai fumettistica, su periferie degradate, usa il Gallaratese per il suo manifesto (ma non come set). “Quando siamo arrivati per girare il portinaio ci ha detto: ancora! Perché c’era già un’altra troupe che stava girando uno spot pubblicitario, per una marca di sneakers. Dunque abbiamo dovuto spostarci, dividerci gli scorci”.

 

Ma all’inizio dell’avventura milanese furono “i Navigli, col senso di natura, l’acqua, venendo io dal lago. Navigli che dieci anni fa erano molto diversi. La Darsena era nascosta, ma le case di ringhiera sapevano più di paese. L’idea di buttarmi in qualche vialone post-littorio non mi entusiasmava”. I Navigli rimangono “il posto di Milano che preferisco”. Ma i Coma_Cose rotolano sempre più a Sud. “Adesso da un po’ ci siamo spostati, a un tiro di schioppo dai campi. Siamo attaccati al quartiere Vigentino, potrebbe essere la campagna da cui vengo io.” Siete insomma la perfetta generazione Covid: “Eh sì, vorremmo andare ancora più fuori. Il nuovo cliché della coppia hipster, che punta al casale ristrutturato. Però se ci vanno tutti, allora uno cosa ci va a fare fuori città? Perché uno va per farsi i cavoli suoi. Per ora comunque i prezzi sono assolutamente proibitivi, dunque il problema non si pone”. E nelle case in cui avete vissuto ci hai messo un po’ del tuo passato da muratore? “Per la verità, ho fatto qualcosa più come idraulico o elettricista. Per il resto, non ne avevo molta voglia. Non sai mai cosa troverai, se butti giù un pezzo di muro”.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).