Cristiano Toraldo di Francia in Australia nel 1974

Italia vostra, amici miei

Michele Masneri

Vita, opere e miracoli dei radicali di Superstudio, la factory più creativa e trasgressiva del design made in Florence

Se ne va un altro grande, Cristiano Toraldo di Francia, fondatore del Superstudio, alfiere araldico del gruppo degli architetti radicali che infiammarono il patrio design.

 

Come si devono essere divertiti. Quelli del Superstudio erano una banda abbastanza scapestrata nella Firenze anni Sessanta, tipo “Amici miei” dell’architettura e del design (erano, oltre a Toraldo, Adolfo Natalini e Roberto Magris e poi Giampiero Frassinelli e altri), e incroceranno poi gli altri radicali di Archizoom, per dar vita a un movimento che teorizza, in pieno boom, la superarchitettura come “architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al superconsumo, del supermarket, del superman e della benzina super”, in un nonsense-supercazzola molto sofisticato che irrompe nel design e nel dibattito italiano da dove non te lo aspetteresti, Firenze.

 

Mentre a Roma si facevano le battaglie alla facoltà di Architettura a Valle Giulia con discussioni pallose su chi fosse meglio tra figli di poliziotti e studenti, e a Milano trionfavano gli architetti-intellettuali come Gregotti o Aldo Rossi, a Firenze scoppiava infatti questa che non è né architettura né pittura ma linguaggio puramente gratuito che si fa beffe del funzionalismo e del nascente design italiano dei compassi d’oro, creando oggettistica e immaginario pop che poi finirà su copertine di dischi, riviste, case, e cataloghi, e moda, diventando talvolta “classico” e prodotto industriale, come nel caso del loro simbolo, gli istogrammi, famiglia di oggetti neutri privi di funzione e ricoperti di una superficie quadrettata, che è poi il laminato bianco e nero ad effetto piastrella che si ritrovava sui top di cucine.

 

Mentre in Brianza si fanno i minimalismi di serie, a Firenze si gioca coi materiali con un occhio alla produzione e l’altro al divertimento (complici anche imprenditori coraggiosi come Sergio Cammilli che con la sua Poltronova produce divani pelosi e sinuosi, tra Fantozzi e Scarface).

 

La gang del Superstudio era una factory warholiana, con gli artisti-architetti che fricchettoneggiano, discinti per le campagne fiorentine, in famiglie allargate. L’unico paragone possibile è con la California che negli stessi anni da Berkeley celebra l’essere hippie e la tecnologia, l’ambiente, l’elettronica come un’unica utopia di rottura degli schemi (ma rottura gioiosa e non ideologica. Si fa insomma più ’69 che ’68, come nella Firenze di quegli anni là).

 

Però loro – i fiorentini – sono quasi più avanti dei californiani, di sicuro più dissacranti. Prendono in giro tutti. Con “Italia vostra”, ecco tutto un fantastico movimento per salvare i centri storici italiani, con progetti non proprio corretti: per Napoli, intubare il centro storico in un enorme cilindro dipinto coi panorami e il Vesuvio, che sono l’unica cosa che interessa, “da affidare agli scenografi di Hollywood, perché quelli di Cinecittà sono ancora troppo in sospetto di Neorealismo”, mentre “un circuito di emettitori di aromi spanderà nell’aria profumi caratteristici (pizza, maccheroni, caffè)”. Per Pisa, essendo che “il centro storico non interessa a nessuno, e l’unica cosa che conta è la stranezza di una torre”, si propone di inclinare tutti gli edifici del centro trasformandoli in alberghi e locali pubblici, incentivo “per un boom turistico senza precedenti, se si fa la proporzione tra il numero dei turisti che attira una sola torre e quelli che potrebbe attrarre una intera città inclinata” (con studi e calcoli per realizzare questa esatta inclinazione degli edifici). Per Venezia, infine, cliché turistico per eccellenza, urge “ovviamente l’eliminazione dell’acqua”, e con questa specie di Mose una pavimentazione in vetrocemento a imitazione idrica, con rinforzi di cemento armato e sulla quale potranno sfrecciare finalmente le auto. Il Superstudio e in generale i radicali sono uno di quei miracoli italiani inspiegabili, planati nel paese sonnecchioso e rigido “fondato sul lavoro” (sul divertimento e la felicità, mai) con tono e sprezzatura mai più visti in nessuna arte (infatti rimarranno una nicchia per intenditori, pur contagiando l’estetica, non solo italiana, ai massimi livelli).

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