Visitatori al Foro italico, Roma (LaPresse)

I muscoli di Roma

Michele Masneri

Fallita un’altra palestra “dei vip”. Esplode la protesta in una città non proprio sportiva. Lo spogliatoio sogna i circoli in riva al Tevere

Non per il degrado, le buche nautiche, le metro rotte. Non per le ziggurat di monnezza. I romani, non celebri per doti agonistiche, peraltro, si inferociscono solo quando gli chiudono le palestre.

 

È successo di nuovo, con lo Sporting Palace di via Mantova. Gloriosa palestrona, frequentata da attori, presentatori (Alberto Matano, Luca Argentero), politici come il ministro Danilo Toninelli, posta in quella specie di Chelsea che è il quartiere Coppedè, o Salario, quartiere comunque di ricchi, seppur non Ztl, professioni e enoteche. La truffa ginnica è abbastanza un format consolidato a Roma: si cerca di far rinnovare ai soci l’abbonamento annuale, e poi si scappa col malloppo.

   

È una truffa crudele, va detto: anzi delle più odiose. Perpetrata proprio a luglio, col gran caldo, soprattutto quando i più indifesi, quelli che han poltrito tutto l’anno, cercano disperatamente di recuperare, iscrivendosi a patetiche maratone di zumba, pilates, spinning, rischiando coccoloni nell’afa, e ipoglicemie per diete improvvisate. Quella ginnica è l’unica truffa che crea indignazione, l’unica a generare questo sentimento raro a Roma in cui ogni altro genere di malversazione viene vista come entertainment. Ma era già successo, tutto identico, cinque anni fa, quando con lo stesso format era stata sbarrata la Roman Sport Center, identitaria palestra nata 50 anni fa sotto i pini di Villa Borghese. Tempio di notai, avvocati e soubrette. Anche lì, la borghesia romana non ci stava, preparava querele, firmava petizioni, aderiva a class action (con risentimenti mai provati per gli alberi decapitati, le metro inesistenti, i bus ardenti).

  

Protestavano, allora, i ginnici, con la loro sacca verde e bianca, i colori sociali del Roman Sport Center: volevano farsi venti vasche, hanno trovato i sigilli. Fallito, il Roman Sport Center, per i romani “la Roman”, cinquemila soci, novantatré dipendenti, un Racquet Club matriciano, con aggiunta di sottosegretari che si allenavano mentre fuori lampeggiava il lampeggiante (altri tempi). Aveva chiuso, mentre i soci commercialisti notai e soubrette continuavano i loro addominali e dorsali sulle macchine bianche e verdi, un po’ vecchiotte (ma tanto il clou era la chiacchiera nello spogliatoio); alla cassa si continuava a emettere fattura, invece, e a timbrare abbonamenti, fino ai primi di luglio. Come oggi, par di capire, lo Sporting. Come allora, in prima fila il giornalista-senatore-socio Augusto Minzolini, già noto per le note spese guizzanti come i deltoidi, che proponeva una compagnia dei patrioti tipo Alitalia (i colori sono gli stessi della Roman, un commissario non si nega a nessuno) per rilevare la palestra e farla risorgere. Tutto inutile: e lui, come tanti altri era poi migrato allo Sporting. E qui, truffato di nuovo (che karma).

    

Anche il decano della Roman, il sarto Renato Balestra, dopo aver condotto la sua personale lotta contro il dio Crono alla Roman, da anni aveva tradito per lo Sporting. Più moderno, meno panze, si stava più in palestra che nello spogliatoio. Una specie di Equinox. Tutti e due i centri hanno poi la particolarità della piscina, rarissima a Roma.

   

Tutti e due naturalmente sono surrogati dei circoli, i sancta sanctorum dove a Roma ci si riunisce, si imbastiscono relazioni, affari, pettegolezzi. Non esiste a Milano un equivalente, perché a Roma la socialità si fa a bordo fiume, se si può, oppure comunque nello spogliatoio. Non è un caso che l’unico romano da esportazione, Giovanni Malagò, l’eroe olimpico della Milano-Cortina, sia soprattutto presidente del circolo Canottieri Aniene. Figlio di socio, pure. “La Roman” e “lo Sporting” erano surrogati comunque aspirazionali, costosi, in quartieri di pasciuta borghesia, per chi non voleva o non poteva aspirare al lungofiume, alle rette e alle procedure crudeli per l’accettazione, col nome e cognome in prova esposto al pubblico ludibrio per mesi all’ingresso (un potente direttore Rai si era recentemente sottoposto all’atroce rito). Alla Roman e allo Sporting bastava invece pagare: e, se proprio necessario, fare anche un po’ di sport.

  

Adesso i clienti anzi soci, truffati, minacciano querele e spropositi. Come allora, uguale. Si era andati, in quella parte di via Veneto coi vecchi night decadenti: e lì, tra targhe ottonate, posacenere pure d’ottone, l’Avvocato Lauro, principe del foro, processi della banda della Magliana, tutto. Ora procedeva contro i ladri dell’addominale: “Lo faccio per mio figlio, per una questione di principio” diceva, il figlio aveva appena rinnovato un abbonamento triennale, e quelli erano scappati col malloppo, diceva Lauro, interrotto continuamente dalle telefonate, ed erano ambasciatori, sottosegretari, professori universitari, pareva Gadda au téléphone. Tutti truffati, tanti anche con la formula del vitalizio: la Roman, ai tempi d’oro, per 7 milioni di vecchie care lire dava l’addominale, o la sua speranza, a vita.

Non si sa come sia finita la class action, oggi la Roman ha cambiato livrea, si chiama Heaven, paradiso, ha nuovi proprietari e macchinari, ma sta sempre in quella specie di astronave dalle architetture garagistico-brasiliane disegnata da Luigi Moretti, quello del Watergate Hotel di Washington ma soprattutto della palestra del Duce al Foro italico, già Foro Mussolini. Cunicoli in cemento armato portano alla fermata della metro Spagna, quando funziona.

     

La Roman, in questa catena alimentare dei succedanei dei circoli, stava al primo posto. Genealogie e mitologie: fondata da Eddie Cheever I, americano in vacanza a Roma con forte expertise nel settore delle palestre. Con la prima moglie americana fonda American Contourella, con centinaia di centri in giro per il mondo. A Roma apre invece “Silhouette” a via Barberini dove conosce Francesconi Rosetta, impiegata. C’è l’amore e nasce una nuova palestra a via Veneto e poi finalmente sotto Villa Borghese, nel 1962. Cheever è un piccolo mito minore romano: porta nella capitale lo squash (la Roman è la prima coi suoi due campi a far praticare questo sport) e il culturismo moderno, porta Schwarzenegger e Lou Ferrigno (quello di Hulk). Genererà poi un Eddie Cheever II, campione di Formula 1, detto “l’americanino de Roma”, e un Eddie Cheever III, anche lui corridore.

     

La Roman-Heaven oggi è di nuovo fiorente. Alle sue macchine si allena il segretario del Pd Nicola Zingaretti, tra gli altri. L’interno è curiosamente tutto nero, con sedili di pelle, tra Scarface e Gomorra. Nella ricostruzione è stato sacrificato l’acquario a parete con pesci tropicali che contribuiva al design anni Sessanta della Roman, insieme alla leggenda nera di Christian De Sica cacciato dal bagno turco per acrobazie inammissibili. “Se non sei in coppia, la Roman è perfetta”, sosteneva il protagonista di “Ho voglia di te” di Federico Moccia; “finita ogni serie, ci si guarda e ci si spizza, un sorriso e poi vai”.

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