Foto tratta da Wikipedia

Cupole africane moderne

Michele Masneri

Fabrizio Carola (1931-2019) e la “vera” architettura sostenibile

In tempi di climate change e km zero, in molti, giovani e no, si dedicano a progetti per paesi alle prese con la scarsità di risorse. C’è chi fa piani per zone toccate da terremoti devastanti, ma dai terrazzi delle Biennali; ci sono quelle che Yona Friedman ha definito le “utopie paternaliste”: ti dico io, che sono più istruito e moderno, come devi costruire e vivere tra la fanga e le favelas. Friedman, autore di numerosi manuali di autocostruzione per l’Unesco, è chiaramente agli antipodi di Fabrizio Carola, architetto appena scomparso. Nato a Napoli nel 1931, Carola si era laureato a Bruxelles negli anni ’50 in una scuola fondata da Henry van de Velde, e da lì ebbe occasione di costruire un ospedale in Mauritania, stravolgendo l’idea di professione tradizionale che si era fatto. Si fermò dunque nel continente africano lavorando in seguito anche in Marocco e Mali, confrontandosi da vicino con la scarsità di acqua, materie prime e dunque con l’impossibilità di usare il cemento armato. Tutti i suoi edifici si sono sempre posti con chiarezza il problema della tanto decantata sostenibilità: per esempio, come cuocere dei mattoni di terra senza deforestare?

 

Ecco allora le sue architetture tutte fuori dallo schema dell’ortogonalità, quindi tondeggianti: un’architettura neovernacolare, non per scelta linguistica ma per la tecnica del compasso, uno strumento semplice che permette di disporre i mattoni di terra cotta senza sforzo e in poco tempo semplicemente girando su se stesso. Le forme poi di questi agglomerati di cupole sono riletture moderne di tecniche e bisogni primari sulla scia di altri grandi progettisti come Hassan Fathy, e influenzeranno una nuova generazione di architetti seriamente engagé come il TAM Associati o lo studio ARCò di Alessio Battistella.

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