Foto tratta da Wikipedia

Il diavolo veste Albini

Michele Masneri

“Made in Italy”, la prima serie tv dedicata al mondo della moda

Villa Necchi Campiglio, il compound insuperato d’eleganza marmorea di Piero Portaluppi, è lo studio di Walter Albini, lo stilista che inventò il prêt à porter quando ancora non osava pronunciare il suo nome. Albini riceve la direttrice della rivista “Appeal” e la sua giovane redattrice, figlia di immigrati del sud che scoprirà un mondo di emancipazioni milanesi.

 

E’ l’inizio di “Made in Italy”, la prima serie tv dedicata al mondo della moda – in particolare quella milanese -, che si sta girando in questi giorni e andrà in onda in autunno su Canale 5. Margherita Buy fa una specie di Miranda Priestley però più ironica e meno cattiva. Greta Ferro, al suo primo film, fa una Anne Hathaway con cappottino di loden. “Volevamo raccontare una realtà interessante di un mondo, quello della moda italiana, che nasce negli anni Settanta e si afferma in tutto il mondo”, dice al Foglio Camilla Nesbitt, amministratore delegato di Taodue che produce la serie. “E avendo conosciuto Franca Sozzani ho pensato che il punto di vista migliore fosse quello di un magazine”. “Made in Italy racconta anche la storia dell’Italia di quegli anni, in cui tanti sconosciuti visionari di talento sono riusciti ad affermarsi, in cui la creatività si unisce alla capacità manifatturiera italiana. Anni in cui l’ascensore sociale funzionava”, dice Nesbitt. La serie, diretta da Luca Lucini ("Tre metri sopra il cielo”) e Ago Panini, ha avuto accesso agli archivi dei grandi stilisti italiani, tra cui Valentino, Armani, Missoni, Krizia, oltre ad Albini.

 

Questo causerà dei frisson agli appassionati e addetti ai lavori, che la potranno vedere e commentare la serie tipo “Mad Men” meneghino grazie anche alla ricerca filologica su design e arredi (e i numeri più veri del vero della rivista “Appeal”, un po’ “Vogue” e un po’ “Interview”). Oltre che naturalmente sui vestiti. “Avere accesso agli archivi è stata una grande emozione”, dice la costumista Sciascia Gambaccini. “Non solo perché abbiamo potuto utilizzare abiti originali, ma anche perché abbiamo avuto così una sorta di guida storica per ricreare sfilate e servizi fotografici”. Albini, che morì nel 1984, non fece a tempo a godersi la grande festa degli anni Ottanta, ma inventò già quasi tutto lui: il termine “stilista” fu invece inventato per lui da Anna Piaggi.

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