dopo "game of thrones"

Il successo di "House of the Dragon" e quella strana voglia di monarchia

Dopo i pianti per Elisabetta, molti sinceri democratici si sono commossi per la vicenda del re Viserys Targaryen nella serie Hbo, anche grazie alla prova d'attore di Paddy Considine. Non sarà anche un po' di nostalgia per i sovrani assoluti?

Nicola Contarini

L'appartenente al popolo nerd che la notte di domenica 9 ha particolarmente amato l'episodio 8 di "House of the Dragon" (la serie Hbo, in esclusiva su Sky e in streaming su NOW in contemporanea con gli Stati Uniti) ha scoperto nei giorni successivi che quello è stato un sentimento comune. La puntata "Il lord delle maree" ha ricevuto universale approvazione tra gli appassionati, specialmente per la sceneggiatura e la recitazione. Licia Troisi, autrice della fortunata saga "Le cronache del Mondo emerso", twitta: "Scusate, raga, ma per me House of the Dragon gioca in un altro campionato, ed è la scrittura a fare tutta la differenza".

  

 

Un aspetto che all'esordio del "Trono di Spade" ("House of the dragon" ne è il prequel) poteva sembrare un difetto - "è teatro filmato" - oggi viene accolto come pregio. Roberto Recchioni, conosciutissimo sceneggiatore e fumettista, scrive su Instagram: "Prendete la sceneggiatura della puntata e fatela recitare (dagli stessi attori, è importante) sulle consunte tavole di legno di un vecchio teatro sulle sponde del Tamigi, con scenografie di cartone, bastoni di legno al posto delle spade e succo di pomodoro a sostituire il sangue. Illuminate tutto con la luce delle candele. E rimarrà comunque un episodio straordinario … un tributo splendidamente eseguito al teatro elisabettiano e a William Shakespeare in particolare, un gioiello televisivo che di televisivo ha pochissimo".

  

  

Ha colpito soprattutto la performance da attore di Paddy Considine, che interpreta il re Viserys Targaryen: storpiato e consumato dalla malattia, decide lo stesso di partecipare all'udienza da cui dipendono le sorti del regno, e affronta una massacrante camminata lungo la navata che porta al famigerato trono. C'è senza dubbio la capacità dell'attore di farci immedesimare nella sofferenza e nella tenacia dell'uomo. Ma basta a spiegare l'emozione che quella scena ha suscitato in un così vasto pubblico? Dopotutto parliamo di un monarca medievale in lotta per far valere il diritto ereditario. Cosa ce ne importa a noi, sinceri democratici? Forse, sotto sotto, anni di populismo e attacchi alla politica politicante ci hanno fatto venire voglia, non di uomo forte al comando, ma proprio di monarchia assoluta. Non sarebbe così strano: dopotutto il diritto divino dei re è stato il fondamento della società per secoli, come facciamo a bollare di semplice irrazionalità qualunque cosa abbia preceduto la presa della Bastiglia nel 1789? E la partecipazione del mondo non britannico per la morte della regina Elisabetta offre ancora qualche indizio di nostalgia.

    

Il fatto è che dal punto di vista della scrittura e dell’immaginazione, un monarca offrirà necessariamente più spunti drammatici di quanto possa fare un qualsiasi rappresentante democraticamente eletto. Un presidente reso invalido dalla malattia che non abdicasse alle sue funzioni, lo giudicheremmo un irresponsabile, un malato di potere, e vedremmo di buon occhio la sua destituzione forzata. Ma un re come Viserys che combatte fino all'ultimo, ci appare un eroe tragico. C'è una dimensione della scelta, del desiderio, della volontà, che rende sempre un po' sospetto il politico democratico attaccato alle cariche, che infatti deve giustificarsi: non voglio il potere per me, ma per fare il bene di tutti. Un discorso che per un re non ha senso: non lo ha mica chiesto lui di fare il re, non si è mica candidato. Il diplomatico sabaudo e filosofo reazionario (un tipo raccomandabile) Jospeh de Maistre giustificava così la superiorità della monarchia, e ribatteva a chi la criticava per il rischio di avere un mentecatto sul trono: “Questa parola RE è un talismano, una potenza magica che dà a tutte le forze e a tutti i talenti una direzione centrale. Se il sovrano ha dei grandi talenti, e la sua azione individuale può concorrere direttamente al movimento generale, è senza dubbio un bene; ma, al posto della sua persona, il suo nome è sufficiente” (Scritti politici, editore Cantagalli).

   

Il punto è che il potere, oltre che a logorare chi non ce l'ha (ma anche chi ce l'ha, dice re Viserys), ci fa anche un po' schifo. E quindi, se sul piano politico la troviamo ormai inaccettabile, sul piano della narrazione la figura del predestinato a un potere che non ha chiesto, qual è ogni monarca, continua a esercitare tutto il suo fascino tragico.