Ugo Mattei (foto Ansa)

Dalla sfida pandemica al fronte ucraino: l'importante è riciclarsi nei talk-show

Serena Magro

Mentre i virologi torneranno al loro utilissimo mestiere, chi veniva invitato in tv per fare loro da contraltare ci è rimasto per parlare di guerra

Si sono lette e dette tante banalità ingenerose contro il rischio di permanenza del battaglione di virologi, epidemiologi, infettivologi rapidamente arruolati da un giornalismo, scritto e televisivo, avido di opinioni e di previsioni. E’ stato un rito collettivo molto primitivo, con cui ci si scagliava contro chi aveva avuto il compito, magari sbagliando, di dire le cose che ci facevano paura. Nessuno ne è stato esente, compresi i commentatori più letti e più stimati, con il re dei critici televisivi in testa a dare addosso ai medici da studio televisivo, citando banalissimamente e pescando, al solito, dall’umorismo altrui, la solita storia della notorietà e dei minuti. Ma questo rito collettivo, per quanto sgradevole in sé, rischia di oscurare l’altro e ben più preoccupante fenomeno di permanenza televisiva.

Perché i virologi e gli altri torneranno al loro utilissimo mestiere (lasciate stare il Covid, ma prendetevi un’altra malattia virale e poi vediamo quanto fate gli spiritosi) e a quelle corsie ospedaliere e alle università che mai hanno completamente abbandonato, ma chi veniva invitato in tv per fare loro da contraltare, secondo la sintassi più cretina della par condicio possibile, forse non sapendo bene a che occupazione tornare, sta ancora in giro per talk-show, in un modo, però, spaventosamente fungibile. Come è stato notato in uno dei rari interventi social che stigmatizzava questa specifica genìa di opinionisti, sta avvenendo la loro mutazione da No vax e No green pass a personaggi genericamente contrari a tutto ciò che si fonda sul senso di responsabilità e su decisioni assunte collettivamente per ragioni condivise. Sono gli zombie del talk-show, non proprio ammessi al grande giro, ma neppure esclusi. 

Due campioni del genere erano da Giovanni Floris ancora recentissimamente (ma tutto era preventivamente riscattato da un sublime Giuliano Amato messo al posto dell’abituale Marco Travaglio come entrée). Uno è il giurista Ugo Mattei, campione dell’uso del grimaldello no green pass per acquisire visibilità televisiva e poi, cosa fatta, studio occupato, non andare più via. D’altra parte, egli stesso tende a non limitare alle regole sanitarie, evidentemente piccola cosa per la sua mente, la sua critica della società contemporanea, tanto da sintetizzare recentemente in un talk pomeridiano, in zona ascolti di seconda se non terza fascia, la denuncia di “una crisi generale dell’impianto del costituzionalismo liberale”. L’altro, sempre molto presente da Floris, e rimasto anche quando i medici sono calati di numero, è il filosofo Andrea Zhok, noto per prendere appunti di ciò che dicono gli altri mentre è inquadrato, realizzando quindi il passaggio dello scuotimento di testa dalla fase gestuale alla sua versione scritta (a volte sembra anche un vigile urbano nell’atto di redigere un verbale impassibile mentre l’automobilista colpito sbraita).

A “DiMartedì” è stato subito spostato dalla sfida pandemica al fronte ucraino, e non ha battuto ciglio. Prendeva appunti, compilava il suo verbale e contrastava, sempre apodittico, sentenzioso, con pedanteria che fermerebbe un carrarmato, non già una Antonella Viola ma un Edward Luttwak o un Paolo Magri. Va detto che non tutti stanno cascando in questa trappola. O meglio, una Lilli Gruber ha già quasi in casa un precursore come Massimo Cacciari e quando hai lui certo non vai a cercarti i No vax improvvisati e un po’ ruspanti. Però ha ridotto la presenza della professoressa Viola per dare invece spazio a Lucio Caracciolo come presenza quasi fissa. Un passaggio elegante, giornalisticamente ben fatto visto che ora il terreno di confronto è quello ucraino. Un po’ succede anche nella “Quarta Repubblica” di Daniele Capezzone, abituato a far proprie visioni molto polemiche e a difenderle con puntiglio e, ultimamente, col vezzo di una certa rabbietta indignata. Il columnist della Verità, un po’ più sciattamente ma cacciareggiando, assume su di sé il prima e il dopo del contrasto alla virologia televisiva. Era no green pass, si direbbe, prima della pandemia. Ora liquida i medici, li rispedisce in corsia e passa, egli stesso, non gli ospiti, a dare una sistemata alla guerra europea, alle ambizioni di Joe Biden e a quelle dell’Ue.

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