Presto, un consorzio di tutela per chi infanga i “Cavalieri dello Zodiaco”

David Allegranti

Andromeda trasformata in una donna: è uno sfregio

Roma. Ci sono consorzi di tutela per qualsiasi cosa, il più autorevole è naturalmente quello del Palio di Siena ma anche con il Parmigiano Reggiano non si scherza, quindi non si capisce perché non ci sia uno straccio di comitato, authority o collegio dei revisori dei conti che vieti i remake o i reboot di Saint Seiya, noti anche come Cavalieri dello Zodiaco, in assenza di comprovati requisiti. Anche perché non si scherza con i sentimenti e tantomeno con la letteratura.

 

Noialtri fan dei Cavalieri sentivamo davvero il bisogno di questo reboot di Netflix, la cui “seconda parte” è da qualche settimana in streaming? La risposta è no. Sentiamo però adesso il bisogno, quasi a mondarci dall’orrida visione appena ultimata, di guardare di nuovo la versione originale di Saint Seiya e dimenticare quello che abbiamo appena visto. Ognuno d’altronde cerca come può la cura per le delusioni; anche quando le premesse avevano già significativamente esaurito tutto quel che c’era da dire. A partire dalla trasformazione di Shun di Andromeda in una donna, per mano dello sceneggiatore Eugene Son: lo sfregio che grida vendetta di chi non sa usare altri canoni se non quelli del politicamente corretto.

 

 

“La responsabilità è tutta mia. Quando abbiamo iniziato a sviluppare la nuova versione, volevamo cambiare molto poco…”, ha spiegato Son un anno e mezzo fa quando uscì il teaser della nuova serie. “Solo una cosa mi preoccupava: i Cavalieri di bronzo al fianco di Seiya Pegasus sono tutti maschi”, ha aggiunto. “La serie ha sempre avuto dei personaggi femminili fantastici, forti e dinamici, e questo si riflette nell’enorme numero di donne appassionate al manga e all’anime di Saint Seiya”. Eppure, come ha notato una volta Anna Sidoti su n3rdcore.it, nonostante la paccottiglia luogocomunista su Andromeda cavaliere gentile, apparentemente fragile e dai tratti femminei, tutte cose che hanno innescato il pensiero retroguardista di Son, “no, Andromeda non è una donna (e nemmeno gender fluid)”: “Andromeda non è un personaggio ambiguo perché è sensibile, ha i capelli lunghi o perché la sua armatura ha le forme di un seno femminile (a causa della sua costellazione, non perché era andato da H&M a prendere proprio quel modello). Non l’ha scelta lui e tutto ciò non deve farci supporre il genere e/o l’orientamento sessuale di una persona, vera o animata che sia”.

 

Questa radicale trasformazione la dice lunga sui tic politically correct di chi ha costruito la nuova serie, fregandosene di rispettare i canoni del maestro Masami Kurumada. A essa si aggiunge pure la pesante fragilità della struttura narrativa e la mancanza di epica dei nuovi sei episodi, che vanno ad aggiungersi ai precedenti sei della “prima parte”. D’altronde non ci può essere epica se ai singoli personaggi manca il tempo di crescere, di evolversi. E’ il tempo che cesella i protagonisti di una storia, consentendo al lettore di accorgersi della complessità, anche psicologica, di un personaggio. I personaggi di un anime, di libro o di un fumetto sono come tutti noi. Hanno una loro identità, una vita, e hanno bisogno del tempo per farsi conoscere dai propri interlocutori. Ecco, nel reboot di Netflix una delle cose che fanno infuriare gli appassionati di Saint Seiya (in rete c’è già un cospicuo dibattito in corso), è la mancanza di respiro. Forse ai giovanissimi spettatori, vero target di Netflix in questo caso, il reboot non comunicherà tutto il disagio che ha trasmesso a noialtri che siamo cresciuti con l’etica dei Cavalieri, qualcosa di più di una versione da scuola media proposta oggi da Son & soci. Non lo comunicherà perché magari non hanno mai visto l’originale. Li invitiamo a recuperare quello e lasciar perdere, per ora, il reboot, che sembra una di quelle fiorentine ben cotte accompagnate dal cappuccino che certi turisti stranieri si ostinano a chiedere ai ristoratori di Firenze. I quali però di solito si rifiutano di servire la sbobba; in questo caso invece i ristoratori di Netflix hanno apparecchiato la tavola. Loro confusi e felici, noi solo infelici.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.