La politica ci ha scippato la tv
Da Di Maio a Zelensky, un copione buono è una campagna elettorale perfetta
"La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione". Parola di Woody Allen, che però sentenziava in materia di vita privata, non di politica. Voleva dire: non importa quanto siete spiriti elevati, oppure quanto credete di esserlo. Non importa quanto poco – o addirittura niente – avete guardato la televisione. In caso di innamoramento, corteggiamento, fidanzamento, divorzio o separazione chiunque si comporta come in una soap opera, rendendosi ridicolo e litigando per la pendola della nonna (scrivete il vostro nome su ogni cosa, farete a botte anche per questo ridicolo tavolino, annunciava Billy Crystal agli amici appena sposati, indicando una ruota di carretto con il cristallo sopra). Ultimo esempio pervenuto, l’intervista confessione di Massimo Cacciari: sforzi sovrumani tirando giù Nietzsche dagli scaffali per cercare risposte originali alle domande sulla vita privata.
In materia di vita pubblica e di politica, decidere chi imita cosa è più difficile (fermo restando che gli scatti di Luigi Di Maio con la fidanzata limonata in camporella più che a una soap opera somigliano a un fotoromanzo). In Ucraina è stato eletto, con oltre il 70 per cento dei voti, il comico Volodymyr Zelensky. Nessuna esperienza politica, come non aveva nessuna esperienza politica il protagonista della serie che lo ha reso famoso. “Servo del popolo” è il titolo, racconta un professore che perde la pazienza in classe, non contro un allievo ma contro il potere e il sistema. Sbrocca (ormai a tirare in ballo il nobile genere dell’invettiva pare di far pesare i libri che abbiamo letto), un allievo lo riprende con il telefonino, mette il video su internet e la campagna elettorale è bella e fatta. Il principiante assoluto diventa presidente, attraverso il suo occhio innocente scopriamo gli altarini, le magagne, gli artifici contabili.
Siccome c’è Netflix di mezzo, nove articoli su dieci hanno tirato in ballo “House of Cards”, che nulla c’entra. Frank Underwood non è un principiante assoluto, neanche un debuttante, meno che mai un ingenuo utile a svelare cose che i cittadini non dovrebbero mai sapere. E’ un politico esperto e trafficone, che sa fare i doppi giochi e anche i tripli, che sa manipolare le persone, che non si fa illusioni su nulla, neppure sul suo matrimonio. L’altro filone tira in ballo Beppe Grillo, e prima ancora Silvio Berlusconi, ragiona così: ecco cosa succede quando la televisione prende il sopravvento sulla politica fatta nelle sedi dei partiti.
Televisivamente parlando (di questo sappiamo, il Donbass l’abbiamo visto solo in un film, peraltro bellissimo, girato da Sergei Loznitsa) il presidente eletto Zelensky viene da una serie tv, tanto ben fatta che Netflix ne ha comprato i diritti. Non è esattamente “la televisione” che nelle chiacchiere da bar – alcune riproposte in consessi più prestigiosi, ma sempre chiacchiere da bar restano – rovina le menti dei giovani e dei poveri di spirito. E’ un programma costruito, sceneggiato, scritto, rispettoso delle regole drammatiche e dei meccanismi comici. Molto più di quel che la realtà solitamente ci propone (dal punto di vista narrativo è parecchio sopravvalutata). Molto più di quel che la politica solitamente ci popone. Per non parlare dei talk-show.
Chiunque vorrebbe per avvocato Perry Mason, o Alicia Florrick di “The Good Wife”, anche se poi nella realtà vediamo bene come funziona la giustizia. Chiunque ha il diritto di sperare che un politico improvvisato e senza esperienza – ma forte di una buona sceneggiatura che conosce le regole della narrazione e della comicità – possa fornire risultati migliori di un politico improvvisato e senza esperienza che si affida a quel che gli passa per la testa, e fornisce solo esempi di comicità involontaria.
Vulture commentava: “L’Ucraina ha eletto un presidente che come unica esperienza di governo ha una serie televisiva. Sono comunque un passo avanti agli Stati Uniti”. Poi immagina che la prossima volta potrebbe toccare a Julia Louis-Dreyfus, protagonista di “Veep”, altra serie che vanta sceneggiatori magnifici, molto meglio degli spin doctor di Hillary Clinton.
In Italia, sul tema “l’uomo della strada e la presidenza della Repubblica” abbiamo avuto “Benvenuto, Presidente” con Claudio Bisio (il primo film era meglio del secondo, “Bentornato, Presidente”). Ma nessuno, neanche per scherzo, ha scritto il nome di Claudio Bisio sulla scheda elettorale. E del resto Netflix non ha comprato i diritti dei film, investendo qualcuno dei duecento milioni che intende spendere in Italia. Per le sue sceneggiature ha standard più alti. Cominciamo da lì, e quando saremo diventati bravi come in Ucraina, qualche risultato arriverà. Per esempio, l’elezione di un presidente ebreo in una nazione che finora si è distinta per l’antisemitismo.
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