Quando il pariolismo diventa la più devastante arma nucleare da talk

Duello in tv tra Marco Bentivogli e Luca Telese al grido "ritira Parioli!"

Giuseppe De Filippi

"Ritira Parioli! Ritira Parioli!", detto con rabbia, urlando. Quella secca richiesta è esplosa nella imprevedibile tv del mattino. Che sembra ordinaria, fatta per tirare mezzogiorno, ma è invece venata di follia, abitata da un impercettibile situazionismo. “Ritira Parioli”, come un grido di dolore, un’intimazione, un preavviso di querela (o di duello?), una preghiera mascherata dentro un urlo o una fredda ingiunzione. “Ritira Parioli” con anche la variazione “rimangia Parioli!”, hanno dimostrato, per la forza del loro nonsense, un’eccezionale capacità di durare nelle nostre teste e nell’intelligenza collettiva fatta dalla memoria della rete. L’accusa di pariolismo, che scatenava poi la richiesta di rettifica, proveniva da Marco Bentivogli, saltava una poltrona in cui sedeva un altro ospite, e arrivava a Luca Telese, che emetteva la perentoria ingiunzione, sotto lo sguardo di Myrta Merlino. Accusa che brucia, a quanto si è visto, più di ogni altra. Certo, era stata preceduta da battute sulla scarsa conoscenza del mondo del lavoro da parte di Telese, culminate nel fatale “l’unico sciopero che conosci è quello per l’aperitivo ai Parioli”.

 

Ora, qui c’era vis polemica, ma forse andava presa la frase nel suo insieme. Invece, isolando i Parioli dal resto, se ne fa una sineddoche e ci si avvia verso la rovina. La tecnica del talk è fatta così, le armi vincenti sono note e a disposizione di tutti. Vince il primo che le usa. La tecnica sta nel cogliere senza esitazioni il momento in cui c’è il via libera all’uso del micidiale repertorio, dopo i convenevoli e qualche frase di rito. Come in certi giochi, sempre televisivi, in cui prende il sopravvento il primo che preme il bottone, ma non si sa, in anticipo, quando si potrà cominciare a farlo. Già una ventina di anni fa si era affermata una delle armi poi usatissima in seguito, quel “c’è gente che non arriva a fine mese” che si può declinare in mille modi per stendere l’interlocutore, l’importante è dirlo, appunto, per primi. La versione recente è “in Italia ci sono 5 milioni di poveri”, vincente e utilizzabile con una serie di ulteriori sfumature. Ultimamente si sta affermando, con un ripescaggio dagli anni Settanta dell’esordio, l’espressione “radical chic”, stravolgendo, per la verità, l’originale di Tom Wolfe, in cui, come dovrebbe essere ovvio, il sostantivo era “chic” e non “radical”. Ma non funziona nel modo inesorabile visto prima, il vezzo dell’espressione inglese e, per chi lo sa, della citazione letteraria e giornalistica, si riverbera un po’ anche contro il lanciatore dell’insulto e lascia la sfida ancora aperta.

 

Il pariolismo, da Parioli, nome di una zona di Roma, neanche propriamente un quartiere, con una sua storia di ricchezza, di fascismo, di delittacci e truffe (come tutte le zone di tutte le città), di borghesia, di intellettualità, di una speciale cafonaggine e anche di qualche eleganza, si è rivelato invece una di quelle armi nucleari da talk, quelle in cui conta solo il first strike, e chi ne è colpito perde comunque, e annaspa, disperato, con “ritira Parioli” che, ripetuto e ripetuto, diventa un lamento, un pianto. Chissà perché, poi, del pariolismo è passato solo il racconto negativo. Facendone un luogo immaginario. E forse è questo sganciamento dalla realtà a rendere la metafora pariolina perfetta e spiazzante per chi ne è colpito. Non avendo una accettata e definita caratterizzazione (per la precisione neanche confini netti nella pianta cittadina), i Parioli, sì ci si riferisce a essi al plurale perché originati su una serie di piccoli rialzi, sono destinatari di tutte le fantasie negative possibili. Serve un recipiente per l’odio che circola in giro e, in una specie di Roma universale e quindi anche fuori dal dibattito cittadino, i Parioli offrono il destro. Nessuno vuole averci a che fare, con quel piacevole quartiere che non è proprio un quartiere. Il fantastico fake di Carlo Calenda, che si chiama Ciccio Calenda e twitta sempre parlando in una prospettiva pariolina viene puntualmente e bonariamente smentito dall’animatore di “siamo europei” che ricorda di non aver mai abitato ai Parioli, di non frequentarli, di non averci niente da spartire. Calenda lo fa bonariamente, senza “ritira Parioli!”, ma arrabbiarsi con l’amabile fake Ciccio sarebbe davvero difficile. Ma i Parioli immaginari colpiscono invece nel sangue vivo l’esquilino Telese (per ristabilire la verità residenziale). Avrebbe potuto, invece di esplodere nell’ormai noto urlo, ricordare che ai Parioli si può abitare a via Gramsci, o comunque percorrerla, e che l’onta di un viale dedicato ai martiri fascisti venne comunque lavata trasformando l’intestazione al sindacalista socialista e antifascista, Bruno Buozzi, ucciso a Roma dai nazisti. E che quel viale attraversa una piazza dedicata a un altro eroe dell’antifascismo come don Giovanni Minzoni, ucciso dagli squadristi. E poi c’era quella specie di Parioli 2, via Ronciglione e limitrofe, dove abitava Enrico Berlinguer, caro a entrambi i contendenti. La storia tragica ma fatta di grandi contrasti e di grande coraggio avrebbe potuto ridare senso ai Parioli immaginari, togliere verve a quegli urli surreali, consentire di andare avanti nella discussione senza dover sperare nella salvifica pubblicità.

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