Claudio Baglioni, Michelle Hunziker, Pierfrancesco Favino (foto LaPresse)

Arriva il governo Baglioni con l'appoggio di Favino e Hunziker

Saverio Raimondo

L'Ariston anticipa i tempi con un Sanremo ingovernabile. Risate preventive

Da sempre, Sanremo è Sanremo: cioè, più ancora che specchio del paese, il Festival è il miglior sondaggio possibile sugli scenari politici e gli equilibri parlamentari all’indomani di una tornata elettorale – che, non a caso, è sempre dopo Sanremo. La Prima Repubblica fu perfettamente rappresentata all’Ariston dal monocolore democristiano di Pippo Baudo e da Mike Bongiorno ovviamente in quota Cia; il Pentapartito fu anticipato dall’edizione del 1978 (quella condotta da Maria Giovanna Elmi con Stefania Casini, Beppe Grillo e Vittorio Salvetti), per essere poi espresso pienamente nelle edizioni condotte da Claudio Cecchetto “con chi ci stava” (1980, ’81 e ’82) e fino alla mirabile sintesi del 1989 nell’edizione condotta da “i figli di”: uno spettacolo che diede la scintilla a quella voglia di manette che si manifestò politicamente appena tre anni dopo con Mani pulite – che in effetti sembra il titolo di una canzone sanremese. La Seconda Repubblica vide invece l’alternanza fra il centrosinistra di Fabio Fazio e il centrodestra di Paolo Bonolis; così come gli ultimi anni sono stati il palco del più magico dei gigli, Carlo Conti, sceso a nazareni patti con Maria De Filippi. E adesso? Cosa sta cercando di dirci il Festival, con questa conduzione a tre Baglioni-Favino-Hunziker? Intanto, ricapitoliamo come siamo arrivati a questo punto. Dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e le dimissioni di Matteo Renzi da Palazzo Chigi, finisce anche l’éra di Carlo Conti all’Ariston. Per tutta l’estate la fantapolitica ipotizza chi condurrà il prossimo Sanremo: Bonolis? No, perché ha un contratto con Mediaset che lo interdisce dai pubblici uffici della Rai. Mika? Non ha i numeri in Senato. Gabanelli – con inchieste sui cantanti in gara, compensi dichiarati nei sottopancia e primo posto non alla canzone più bella ma alla più onesta? Mattarella si oppone. Per mesi le forze politiche hanno sperato in un Conti-bis “mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese”, come Napolitano; invece Conti nicchia, “preferirei di no”, dice. Ma chi si crede di essere, Prodi?

Fa dunque il suo ingresso anche all’Ariston l’ingovernabilità, quella a cui le elezioni del 4 marzo consegneranno tutta l’Italia. Dunque il governo Baglioni con l’appoggio di Favino e Hunziker è lo scenario che ci aspetta anche in Parlamento. Favino è Pd, Hunziker è Lega: incredibile ma vero, l’Ariston prevede una convergenza su Baglioni fra i due partiti finora così contrapposti. Ma chi è Baglioni? Qui le interpretazioni possibili sono tre:

- Baglioni è Gentiloni. Non solo dal punto di vista tricologico: a Baglioni si sono rivolte le istituzioni in un momento di massima ingovernabilità dell’Ariston per non consegnare il Festival ai populisti che già volevano Morgan vincitore. Figura istituzionale, Baglioni rassicura e incarna quei valori del cantautorato italiano pop senza militanza o colori politici.

- Baglioni è Berlusconi. Il lifting è lo stesso, così come il nuovo profilo pubblico: anche Baglioni ha abbandonato quelle sue magliette fini tanto strette al punto che s’immaginava tutto per uno storytelling più istituzionale, con le canzoni e la musica al centro del Festival.

- Baglioni è Di Maio. Quest’ipotesi, forse la più sconcertante, è però anche la più accreditata dal fact checking: il Sanremo di Baglioni è infatti il Festival della “Friends & Partners”, il management non solo di Baglioni ma anche di numerosissimi eletti sul palco dell’Ariston nel listino plurinominale degli ospiti: Pausini, Morandi, Antonacci, Pezzali, Renga, Nek, Nannini e Giorgia; oltre agli 11 – su 20 – concorrenti nei collegi maggioritari offerti dalla gara. Friends & Partners come Casaleggio Associati; il manager Ferdinando Salzano come Davide Casaleggio: qualcuno ha forse mai sentito Baglioni cantare in congiuntivo? Se quest’ultima interpretazione è corretta, quello che il 68° Festival della canzone italiana ci sta dicendo è che le urne il 5 marzo partoriranno un governo di larghe intese, fatto da grandi ospiti nei dicasteri chiave, con l’ipotesi di commissariamento a Fiorello sin dalla prima sera. Quanto durerà? Questo lo deciderà l’Auditel: se Baglioni regge tutte e cinque le sere, il governo 5 stelle-Pd-Lega rischia di farsi tutta la legislatura. Speriamo in un flop. O almeno che non sforino oltre la mezzanotte, che è un po’ il tetto del 3 per cento di Sanremo.