I quattro giudici di MasterChef. Da sinistra Antonino Canavacciulo, Antonia Klugmann, Joe Bastianich e Bruno Barbieri

Riuscirà Antonia Klugmann a salvare MasterChef Italia?

Mahatma

Due ore di provini, tra i soliti casi umani e gli anziani tombeur de femmes. Tutto già visto e rivisto. Speriamo in qualcosa di meglio per le prossime puntate

 

Passiamo subito al sodo. La domanda è: riuscirà Antonia Klugmann a salvare MasterChef Italia? L’impressione, che già s’era avvertita lo scorso anno, è che il programma non abbia più nulla da dire. I teatrini tra giudici sono i soliti, sempre la solita solfa che va avanti da sette edizioni. C’è il tombeur de femmes stagionato – stavolta è Italo, l’aviatore in pensione che va in vacanza a Porto Cervo e Locarno e gioca a golf –, il caso umano – Caterina l’ucraina che ha scoperto i pesci d’acqua salata in Italia –, il patetico ragazzotto che (citiamo Cannavacciuolo) “sta sette giorni in Giappone e presenta un piatto giapponese che sembra brodo di scarpe”.

 

 

Insomma, niente di nuovo. L’unica novità è l’addio annunciatissimo di Carlo Cracco, salutato con un funerale di dubbio gusto all’inizio della prima puntata, con tanto di bara, corona di fiori, lumini eccetera. A sostituirlo, la triestina Antonia Klugmann che in qualche modo doveva risultare interessante. Le hanno ritagliato il ruolo che aveva Cracco, con scarsissima fantasia autorale: è la poliziotta cattiva, quella che rimprovera il caso umano perché non sa fare la pasta – “Sei in Italia e devi imparare a fare la pasta!” – e che dice no quando gli occhi dolci di Bastianich e il gran cuore di Barbieri fanno uscire dalla bocca dei Sì che a noi profani dell’alta cucina sembrano bestemmie. Pazienza. Dare giudizi ora sarebbe ingeneroso, siamo appena all’inizio. Ma il guizzo non c’è, manca il brio, manca la fantasia che sarebbe stata necessaria per rinfrescare un programma che ha detto ormai tutto. Manca, insomma, un’idea. Perché ormai, dopo sette edizioni, abbiamo capito cos’è un raviolo aperto e un brodo gourmet. Due ore di provini su provini, con “Sì” e “No” della giuria, risultano soporifere. Se poi il dibattito è sulle tagliatelle più o meno buone di tale Noemi – che al No dice commossa “io non mi arrendo, questa era la quarta volta che facevo le tagliatelle!” e appena uscita dallo studio ripete almeno otto “vaffa” all’indirizzo dei quattro giudici – bisogna augurarsi che il proseguio sia migliore. Chi vivrà vedrà.

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  • E' nato al nord (non serve dire dove né quando, anche perché sono informazioni buone per necrologi e che poco interessano il lettore più o meno interessato). Si considera maturo quanto a età, meno a dotazione intellettuale. Non se ne cruccia, sapendo che la capacità d'elaborazione mentale in codesto mondo non deve essere per forza alta (d'altronde Hegel e Kafka non sono più bestseller da qualche decennio). Segue lo sport in generale a eccezione delle bocce, del sumo e del golf, che considera una delle più grandi sciagure capitate all'umanità, quasi quanto lo sport trasmesso sulle reti Rai. (ne parla sovente su questo giornale) Appassionato di cucina televisiva, ama le pentole che si vedono a MasterChef (delle cui puntate cura periodicamente le recensioni sempre su questo giornale) e soprattutto la relativa dispensa. Ricorda con rimpianto la tv del cane di Paolo Limiti, Floradora.