Lilli Gruber (foto LaPresse)

Dimenticate Ionesco, l'assurdo a cinque stelle va in scena al Teatro Gruber

Guido Vitiello

Severgnini, i nasi rotti, Grillo e qualche precedente

In una mano il telecomando, nell’altra l’opera completa di Eugène Ionesco. Che fare? E’ così tutte le sere; e tutte le sere, dopo qualche esitazione, va a finire che mollo sul comodino Ionesco, premo il tasto sette e mi godo una mezz’ora di vero teatro dell’assurdo. Perché leggere “Delirio a due” quando Lilli Gruber mette in scena quegli impareggiabili deliri a tre? Giovedì, per esempio, la pièce era un piccolo capolavoro. Si trattava di aggiustare il pasticcio di Floris, che avrebbe dovuto portare sul palco “Il re muore” e, mannaggia, era riuscito addirittura a risuscitarlo. Per rimediare a quel successo catastrofico “di pubblico e di critica” – così ha esordito Gruber – ecco subito allestito un pezzo di meta-teatro dal titolo memorabile: “Renzi vince in tv: ma nelle urne?”. E’ stata una girandola di virtuosismi linguistici, paradossi sardonici, sgambetti alla logica. C’era Severgnini che sfoggiava tutto gongolante i suoi due nuovi, irresistibili calembour, Xanaxilvio e Tavorenzi; c’era una specie di rockabilly in dolcevita nero che diceva, mantenendo una faccia serissima, che Renzi avrebbe dovuto temere semmai un confronto con Di Battista (già, già, lo spalleggiava Severgnini, Di Battista è un pugile del peso giusto!); e c’era la sondaggista Ghisleri, secondo cui Di Maio ha perso l’occasione di “dimostrare che è uno statista”. Neppure un personaggio dei “Rinoceronti” avrebbe osato pronunciare nello stesso respiro quel cognome e quell’attributo.

 

Ma il culmine della pièce è stato nel secondo atto, dedicato alla capocciata di Ostia. “Lo dico sempre in giro per l’Europa” – così Severgnini, mentre il rockabilly pensosamente annuiva – che il merito dei Cinque stelle è aver mantenuto il voto di protesta italiano entro limiti giusti, e che bisogna dare a Grillo quel che è di Grillo, perché “tra un insulto e una testata che spacca il naso c’è una differenza, e questo mi sembra che gli vada riconosciuto”. Scansati, Ionesco: c’è una popolare firma del grande quotidiano della borghesia milanese che va a spasso per l’Europa a dire che tutto sommato il partito più votato d’Italia non spacca i nasi dei giornalisti, al limite invita a vomitarli, e che questo è un signor merito. Una scena simile la si era vista la sera prima, quando al Piccolo Teatro Gruber c’era in cartellone il delirio a due Cacciari-Taverna, e l’autore del “Potere che frena” aveva detto lui pure che i grillini sono la diga che argina qualcosa di più pericoloso (se avesse tirato fuori davanti alla ruspante senatrice il termine paolino “katechon” sarebbe venuto giù il teatro).

 

Ma una recensione non è completa se non menziona qualche precedente. Napoli, aprile 1946: un altro drammaturgo, il fondatore del qualunquismo Guglielmo Giannini, arringa la piazza dicendo che “siamo noi, noi dell’Uomo Qualunque, che abbiamo impedito la guerra civile in Italia, noi che abbiamo indotto i perseguitati a non commettere atti disperati”. Concederà il bis a Cagliari, a dicembre dello stesso anno: “Potremmo ricorrere alla violenza perché siamo i più forti. Sono io che non lo voglio, io solo che impedisco la guerra civile in Italia”. Esattamente settant’anni dopo, dicembre 2016, Di Battista fa il suo grande, concitato monologo: “Noi siamo veramente responsabili, perché è grazie al Movimento Cinque Stelle che qua non c’è…” (non specifica cosa). “Noi abbiamo incanalato la partecipazione su percorsi democratici bbelli, bbelli…”. Il copione è lo stesso, è la platea che si è rincoglionita. Perché nel 1946 Giannini venne preso per quel che era: un millantatore. Emilio Lussu, pochi giorni dopo il comizio di Cagliari, lo sbertucciò in Parlamento ricordandogli che la guerra civile “è una cosa ben differente da una commedia teatrale”. Altri tempi: oggi su queste fanfaronate ci metton su un’intera stagione, al Piccolo Teatro Gruber.

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