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Canale Nove, ossia la Raitre dei giovani

Andrea Minuz

E’ la rete che Discovery ha dedicato ai millennial. Ha reclutato chef stellati, Maurizio Crozza e persino Roberto Saviano. Tutti cool, tutti de’ sinistra, tutti un po’ grillini

Sfasciata la Rai di Renzi, la televisione si riposiziona. Mentre Viale Mazzini è occupata dalla triade Fazio-Espresso-Repubblica, Gomez e Saviano raggiungono Crozza sul pianeta Discovery Italia. Bisogna partire proprio da qui per provare a capire quello che sta succedendo nella tv italiana. Perché una rete con dentro Cannavacciuolo e Max Giusti, Crozza e chef Rubio, Cracco e Saviano, le “interviste al potere” di Gomez e le torte di Benedetta Parodi potrebbe essere un formidabile laboratorio politico del futuro, specie con il ritorno del proporzionale. Una nuova lottizzazione perfetta: Pd in Rai, Lega e Destra su “Quinta colonna”, una spruzzata di grillismo “upper class” a Discovery.

 

La tv "unlimited", emblema della prossima stagione Discovery, che supera (di poco) Sky ed è oggi il terzo gruppo televisivo in Italia

L’upfront 2017 organizzato qualche giorno fa a Milano per celebrare la presentazione dei nuovi palinsesti offre notevoli spunti di interesse. Davanti a settecento persone tra investitori e addetti ai lavori si celebrava l’idea di una tv “unlimited”, parola chiave di tutto l’evento e emblema della prossima stagione Discovery. Un concept che “si ispira a un mondo senza limiti, guardando oltre e sperimentando un nuovo modo di fare entertainment”. Ovvero, un maxischermo ricurvo lungo venticinque metri e un tunnel immersivo di suoni e luci che portava direttamente su Roberto Saviano, in piedi sul palco, in un’arringa a ruota libera su immigrazione e barconi. C’era Crozza che ripeteva la solita gag che si gioca da un anno (“come sono contento di stare sul Nove dove non mi vede nessuno”), c’erano Max Giusti e Cannavacciuolo vestiti da “Blues Brothers”, il rapper milanese Ghali lanciato da Saviano e raccontato due giorni prima su Repubblica (“Ghali, il ragazzo della via rap che canta l’Islam e i migranti”), i top manager della rete che si alternavano sul palco per dare la carica, mentre in sala passavano i piattini finger food preparati dallo chef superstellato, Mauro Colagreco, il “Gualtiero Marchesi dell’Argentina”, con diamanti di barbabietola tempestati di caviale e gnocchetti freddi al mojito. Dj set a seguire. Come dice Marinella Soldi, manager a capo dell’area Southern Europe di Discovery Network, “consiglio di non sottovalutare la nostra fame, il nostro coraggio e la nostra voglia di fare cose nuove”.

 

La fame di sicuro. E’ stato un raduno motivazionale in grande stile, smodatamente sproporzionato rispetto agli share della rete. Ma che importa. Con Saviano, Crozza e Gomez potrebbe rinascere su Discovery una nuova RaiTre. Più milanese, più cool, più grillina. Una RaiTre per millennial.

 

Un modello di entertainment generalista di taglio tradizionale. Nuovi linguaggi, marketing fighetto, contenuti vecchi

Lo scorso anno, quando Crozza annunciò l’addio a La7, sembrava che non ce l’avremmo mai fatta a riprenderci. Un mondo che finiva, addio “copertine di Crozza”, addio televisione di tutti. Travaglio si avventurò in un’oscura lettura politica che rovistava dalle parti dell’epurazione, dell’editto bulgaro, della “desertificazione della tv da ogni talento geniale”, del comico scomodo che si allontana dalle grandi platee perché non riesce a lavorare come vorrebbe. Di scomodo c’era solo doversi spingere oltre il settimo canale del telecomando, dove finisce la nostra tv generalista. Superare le colonne d’Ercole di Mentana, Floris e Formigli, avventurarsi nella wasteland contesa tra Sky e Discovery e arrivare al fatidico Nove, lì dove prima c’era Deejay Tv con Linus e Savino e oggi c’è Saviano. L’operazione Crozza lavora sul lungo periodo, questa almeno dev’essere la strategia della rete. Al momento infatti l’unico che ci ha guadagnato è Beppe Caschetto (a Discovery Crozza fa la metà di La7 incassando a occhio e croce almeno il doppio). Sin qui, l’arrivo di Discovery ha fatto comodo anzitutto agli agenti delle star televisive. Tutti i giochi al rialzo della trattativa stato-Fazio si sono fatti agitando lo spettro dell’ingaggio a Discovery Italia. Finché esiste un mercato siamo tutti contenti. Ma la sfida per i nuovi player della televisione italiana non è ancora quella di convincere il pubblico ad abbonarsi, quanto invitarlo a osare con il telecomando. Il seme della tv generalista costringe Sky a prendersi l’ottavo canale e Discovery il nove (dettaglio non indifferente: i guru del marketing hanno pensato bene di chiamarli “Tv Otto” e “canale Nove”, terrorizzati forse dalla struttura demografica del nostro paese e dall’età media dello spettatore italiano). Doveva esser l’epoca della pay tv, della frammentazione del pubblico, delle nicchie, dei canali fatti su misura per lo spettatore, dei “branded content”. Invece ci si è accorti che l’agonia della tv generalista sarà ancora lunga.

 

La maggior parte degli italiani è disposta a pagare per la Champions e la Serie A, qualcuno per le serie tv e il cinema, ma nessuno per Crozza. Che fare? Partita come pay tv, Discovery sta assemblando pezzo dopo pezzo un modello di entertainment generalista di taglio tradizionale. Nuovi linguaggi, marketing fighetto, contenuti vecchi. Con un’offerta fondata su un radicale mix di generi, una piattaforma di canali divisi tra digitale terrestre, on demand, satellite, free e una politica editoriale che risponde solo al mercato, Discovery supera (di poco) Sky ed è oggi il terzo gruppo televisivo in Italia, dopo Rai e Mediaset.

 

Come tutti i grandi gruppi internazionali (duecentoventi paesi, circa tre miliardi di abbonati) deve calibrare la propria offerta sui costumi locali. Nella televisione italiana l’entertainment si porta solo con un po’ di impegno e denuncia del potere. I riferimenti intellettuali “giusti” permettono di penetrare nella coscienza del paese, evitando di essere percepiti come degli “estranei” agli occhi di un pubblico cresciuto col duopolio nazionale, Rai-Mediaset, quando non con la Rai e basta. L’idea Crozza era un po’ questa. Discovery non può puntare al pubblico di “Montalbano” ma non vuole neanche fermarsi alla nicchia di “Narcos”. Ci vuole una sintesi mirabolante. Per esempio, “Kings of Crime” di Roberto Saviano, il racconto della criminalità globale con il lessico delle serie tv, in un programma che si chiama come un gruppo indie e strizza l’occhio ai millennial. Perché “le serie”, diceva Saviano in giacca e jeans sdruciti alla presentazione del palinsesto Discovery, “permettono di approfondire e raccontare bene cosa c’è dietro certi fenomeni avvicinando i più giovani”, perché “anche se sono affascinati dagli aspetti più diretti e cruenti – sparatorie, assassini, droga, soldi facili – finiscono sempre per capire cosa c’è dietro”. Anche noi abbiamo imparato a gestire “Las Vegas” guardando “Casinò” di Scorsese e a comprare partite di coca con “Scarface”. Vedremo. D’altronde, Discovery Network ha avuto la sua impennata negli ultimi dieci anni proprio grazie alla “factual television”. Una valanga di programmi “make-over” che insegnano allo spettatore come vestirsi, truccarsi, dimagrire, sposarsi, gestire figli, suoceri, gatti, cani, cucinare e avere una sana attività sessuale. Mancava il narcotraffico. “Kings of Crime” non sarà né una fiction, né una docufiction ma una serie “factual” che Saviano ha scelto di ambientare in un’aula universitaria, in attesa che “Gomorra” sia adottato in qualche corso di laurea in “scienza delle mafie”. “E’ la prima volta che in Italia si fa una trasmissione basata su questo stile”, dice Saviano, “ecco perché ho voluto ambientarla in un’università, parlando agli studenti, anche se l’obiettivo è prendere ogni singolo spettatore e farlo sprofondare nelle storie”. “Kings of Crime” sarà il racconto della camorra, della ’ndrangheta, dei cartelli messicani, dei grandi trust globali del narcotraffico, attraverso i ritratti dei loro “personaggi chiave”. Saviano racconta Paolo Di Lauro, Saviano racconta “El Chapo”, Saviano racconta il “re della ’ndrangheta”, Antonino Pelle, più un’intervista in seconda serata col pentito Maurizio Prestieri. Un incontro che Saviano ha definito “difficile” perché “dovevo smontare ogni messaggio che voleva mandare all’esterno”. Perché Saviano non si ferma più. Dalla copertina di “Zero zero zero” allo spot per “Narcos” di Netflix, la cocaina è ormai la sua bestia nera. “Sono il più grande drogato di cocaina letteraria che ci sia”, si dice da solo Saviano, “la vedo dappertutto, ragiono come un narcotrafficante”.

 

Una valanga di programmi che insegnano allo spettatore come vestirsi, truccarsi, dimagrire, sposarsi, gestire figli, suoceri, gatti

Per la prossima stagione di Discovery sogniamo Saviano e Cannavacciuolo che spiegano tagli e raffinazione della coca a spasso per Bogotà, tipo “Pechino Express”, “Linea verde” o “Spacciatori da incubo”. Forse capiremmo una volta per tutte qual è la capitale mondiale della cocaina (a luglio, su Repubblica, Saviano diceva che la capitale della coca è Roma, non è più una città ma “una narcocittà”, però a vedere “Narcos” sembra più New York e poi c’è sempre Miami, non se ne esce).

 

Dopo Saviano arriva Gomez, che dovrebbe andare in onda al termine dei ritratti dello scrittore. Altre interviste. Stavolta per “raccontare il lato oscuro del potere”. Il programma si intitola “La confessione” (al plurale ricordava troppo il film di Roberto Andò con Toni Servillo monaco o Sant’Agostino) e celebra l’avvio della collaborazione tra Discovery Italia e Loft produzioni, la piattaforma televisiva della società del Fatto quotidiano. Nei panni del “lato oscuro del potere”, Emilio Fede e Lele Mora, ma anche Alex Schwazer e Vittoria Schisano, nata Giuseppe. Se il Gruppo Espresso occupa la Rai, il direttore del Fatto mandato su Discovery suona un po’ come uno scavalcamento grillino a sinistra. Ma è anzitutto il tentativo di prendersi una fascia di pubblico più giovane, quello che magari legge Fq Millennium (il mensile patinato diretto da Gomez), quello che di sicuro non guarderebbe Ezio Mauro che entra nella fabbrica Krasnaja Nit per raccontare la Rivoluzione d’ottobre su RaiStoria neanche sotto tortura. Attenzione però. Anche con “Cronache di una rivoluzione” siamo di fronte a “un’epopea di sentimenti” e a “una nuova modalità di narrazione storica”, come ha detto la direttrice di Rai Cultura, Silvia Calandrelli presentando il programma di Ezio Mauro, definito da Repubblica, “un grande romanzo popolare che segue il passo dell’indagine giornalistica”.

 

Tolta la cucina, lo sport e poco altro, la televisione italiana è un’appendice dell’aristocrazia del giornalismo italiano. Nella migliore delle ipotesi è fatta da persone che sanno come si fa un giornale ma non un programma tv e che considerano il linguaggio televisivo una forma al servizio della parola, meglio se scritta, anzi al servizio della supremazia della cultura libresca. Discovery si adegua.

 

"Sono il più grande drogato di cocaina letteraria che ci sia", si dice da solo Saviano. Poi arriva Gomez con "il lato oscuro del potere"

Nonostante il canale Nove viaggi intorno all’1,5 per cento di share (per intenderci, meno di Rai4), Discovery è osannata sulla stampa per la ventata d’aria nuova che porta nella tv italiana, per i grandi investimenti, la qualità dei prodotti. Le serate evento con Morandi e Ravazzi, lo speciale dedicato al ristorante di Cracco, un nuovo programma affidato a Antonino Cannavacciuolo che cucina coi pescatori e l’inedita triade Crozza, Gomez e Saviano in quota “coscienza del paese”, raccontano l’espansione del canale in chiave generalista, il suo riposizionamento nella tv italiana, ma anche la difficoltà di produrre contenuti nuovi in un mercato come il nostro. Le operazioni più riuscite di Discovery Italia restano “Real Time”, dove trionfano i “dolci in forno” di Benedetta Parodi (ma anche la striscia daytime di “Amici” di Maria De Filippi) e “DMax”, canale dedicato agli uomini con la barba di tre giorni, la moto in garage e il giubbotto di pelle, dove si vedono “Unti e bisunti” di Chef Rubio, documentari su Bruce Lee e le armi del futuro, i reality con scalatori, motociclisti, ranger e vigilantes.

 

La stagione che arriva ora, con le imitazioni di Crozza, il narcotraffico di Saviano, i lati oscuri del potere di Gomez lascia intravedere il profilo di una tv in cerca ancora di una propria identità, pardon di uno “storytelling”, ma che nel frattempo guarda con interesse al lettore del Fatto e allo spettatore grillino. I bene informati dicono ci sia aria di grillismo anche nel quartier generale. Marinella Soldi, quotata per la direzione Rai prima che arrivasse Campo Dall’Orto, si è ormai staccata da quell’assetto e fiuta i tempi nuovi. D’altronde, la parabola Campo Dall’Orto resterà come un monito scolpito a futura memoria nell’atrio di Viale Mazzini per tutti i top manager della tv commerciale che entreranno nell’orbita delle nomine. Ci penseranno sei volte, a meno che non arrivino Grillo e Di Maio.

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