Massimo Giletti (foto LaPresse)

Lo scomodo del giorno

Mariarosa Mancuso

Giletti non si è inventato niente. Siamo il paese della meritocrazia, oppure è tutta colpa del “sistema”

Eccone un altro. Non che siano difficili da trovare, l’epidemia è a forte rischio di contagio, senza vaccini all’orizzonte. Eccone un altro che alla prima difficoltà, contrasto, cambiamento, contraddittorio, incarico non rinnovato, candidatura negata – insomma, davanti alle cose che nella vita capitano, se non tutti i giorni almeno ogni tanto – si proclama “scomodo”. L’ultimo della lista (abbastanza ricca per alimentare una rubrica dedicata a “lo scomodo del giorno”, qualche anno fa su questo giornale) – è Massimo Giletti.

 

Dall’autunno prossimo lascerà la Rai per passare a La7 con un contratto biennale, evento che nella carriera di un conduttore dovrebbe essere nell’ordine naturale delle cose. E invece no: “‘L’Arena’ è un programma scomodo”, dichiara. Aggiunge che la cancellazione del suo “talk-show di cultura e politica” andrà giustificata ai quattro milioni di appassionati spettatori. Attendiamo da un momento all’altro che scendano in piazza a protestare, sfidando i cinquanta gradi percepiti. Evidentemente non sono lettori di Aldo Grasso, che del programma ha notato le urla, il vittimismo, la gara al ribasso tra società civile e politici, e come maestro Gianfranco Funari. Un altro che teneva all’etichetta.

 

Libero dentro, senza padroni né padrini, mai raccomandato: ecco la litania che sempre segue alla dichiarazione di “scomodità”. Pochissimi hanno la pazienza di aspettare che gliela diano gli altri (è il caso dell’astuto Fabio Fazio). Provvedono da soli, e fanno in modo che da quel dì stia sempre attaccata al nome. Pinco Pallo, politico scomodo – oppure intellettuale, o scrittore, o regista, o giornalista, o magistrato, ma sempre e comunque scomodo. L’etichetta va fatta fruttare il più a lungo possibile, se è il caso alimentandola con interviste ben cadenzate.

 

Scomodo per antonomasia è Pier Paolo Pasolini: uno che ha scritto abbastanza per riempire dieci Meridiani Mondadori, ma che viene ricordato per “io so, ma non ho le prove”. Perfetto padre nobile di tutti gli scomodi, che appunto sono convinti di essere tali anche se le prove scarseggiano. Semmai ci sono prove del contrario. Grandi carriere e grandi incarichi – per merito, per carità, siamo o no il paese della meritocrazia? Poi appena cambia il vento, e appena gli incarichi scendono di un gradino, si scoprono spina nel fianco di qualcuno o di qualcosa. Dell’amministrazione comunale. Del partito. Della casa editrice. Del giornale. Del festival che non ha accettato il loro film. Del museo che non li ha nominati sovrintendenti. Del teatro che non li ha voluti come direttori. Del sistema, se proprio non si riesce a trovar qualcosa di più preciso.

 

Alberto Moravia ha suggerito la sua personale collocazione una volta per tutte grazie a “Intervista sullo scrittore scomodo”. Non si riferiva solo agli anni del fascismo, la scomodità lo ha accompagnato per tutta la vita. Eppure, vista con il senno di poi, la carriera dello scrittore che secondo i maligni “ha scritto e riscritto sempre lo stesso romanzo”, non parrebbe proprio da perseguitato ai margini della società e dell’industria culturale. E del resto lo scomodo Dario Fo vanta un Nobel, le opere teatrali pubblicate da Einaudi, spettacoli ovunque.

 

Internet ha cambiato tutto, non l’aspirazione a sentirsi scomodi. Beppe Grillo è convinto di avere l’universo mondo schierato contro di lui – fin da quando faceva il comico e raccomandava gli spazzolini da denti eterni che non inquinano. A furia di dirlo ha convinto un bel po’ di gente. Perfino una rivista all’avanguardia come Wired non ha resistito alla gallery dei cinquanta intellettuali scomodi. Dove stanno Roberto Saviano, Noam Chomsky, Salman Rushdie – che non sa e quindi non può protestare per la compagnia – e l’immancabile Tariq Ramadan. Aggravante: la lista è stata compilata dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo.

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