Un murales raffigurante Orson Welles. Foto di Kieran Lamb via Flickr

Lo streaming online si è accaparrato anche il grande cinema

Gianmaria Tammaro

Da Woody Allen a Scorsese, sino a Orson Wells, perché produzione e distribuzione cinematografica, oggi, hanno trovato nelle piattaforme come Netflix partner ideali

Siamo andati a dormire che il mondo era lo stesso di sempre, immobile e prevedibile, e ci siamo risvegliati che Internet era ovunque: era nelle nostre vite, nel nostro modo di parlare, di passare il tempo e di innamorarci. C’è chi ancora, stoico, insiste nel dire che questa è solo una fase, che presto passerà, che i numeri – che sono praticamente ovunque, rintracciabili in qualsiasi testo, referto e appunto – non sono solidi. “Sono gonfiati”, ecco. Netflix, Amazon, Hulu e tutte le altre piattaforme di streaming, però, ci dicono un’altra cosa: ci dicono che il nostro divertimento, in parte o in tutto, è “nativo digitale”.

 

I film e le serie tv che vengono prodotti oggi molto probabilmente non vedranno mai una sala cinematografica o il salotto di una bifamiliare; saranno invece confinati nelle smart tv di mezzo mondo, nei computer, nei laptop o negli smartphone di chi per recuperare le puntate della sua serie preferita si fa bastare il tempo che passa in metropolitana.

 

La migrazione, prima molto ridotta e ora quasi costante, di grandi registi, attori, produttori e sceneggiatori che dai vecchi media (il vecchio cinema, la vecchia tv, il vecchio teatro) si sono spostati su Internet e sulle piattaforme di streaming è un fenomeno piuttosto significativo da analizzare. Tutto è cominciato con David Fincher e Kevin Spacey, che cinque (e più) anni fa, su Netflix, davano vita a House of Cards, serie non solo destinata al successo (se fanno delle parodie di te, sai che ci sei, che sei – come si dice – “arrivato”) ma pure a diventare metro di paragone – forzato, forzatissimo – tra fiction, realpolitik e casta. Una novità che anche i vari Letterman, Fallon e Kimmel non sapevano come inquadrare.

 

Dopo Fincher, sono arrivati tutti gli altri: tra gli ultimi anche mister Woody Allen (la sua Crisis in Six Scenes farà il suo esordio in Italia il 24 marzo su Prime Video di Amazon). E questo solo per quanto riguarda la nuova serialità. Per quanto riguarda il cinema, invece, basta guardare ai titoli che, a questi Oscar, hanno trionfato: Manchester by the sea, per esempio, che è valso la statuetta come Miglior attore a Casey Affleck. E che dire di “The Irishman”, il nuovo progetto di Martin Scorsese con tutta la vecchia banda (De Niro, Al Pacino, Pesci, Keitel)? È già in produzione e uscirà prossimamente su Netflix.

 

È diventato chiaro, insomma, che le piattaforme di streaming – le stesse che citavamo all’inizio – sono diventate il partner ideale per le major cinematografiche e televisive. E questo perché hanno tanti soldi, tante idee e soprattutto - ossigeno per la creatività - tanta libertà. Il “nuovo cinema” (e la “nuova tv”, anche) sono la nuova speranza, per citare Star Wars. E non solo per gli spettatori, ma anche per la old industry. Come nel caso di “The Other Side of the Wind”, film incompiuto di Orson Welles, le cui bobine sono rimaste gelosamente custodite negli ultimi quarant'anni in una cassaforte di Parigi (colpa, si dice, di una disputa legale tra parenti). Se le cose si sono sbloccate – ossia se questo film, finalmente, si chiuderà – è per merito di Netflix che – vedendoci certamente un’ottima pubblicità e, ancora di più, una possibilità per rivolgersi a un target di pubblico ancora lontano e, diciamocelo pure, diffidente – si è fatta avanti e ha promesso: i soldi li metterò io.

 

Dunque è questo il mondo in cui, oggi, viviamo: più immediato, velocissimo, fatto ad personam (niente pubblicità, i contenuti vengono preselezionati a seconda dei gusti), dove i soldi non sono un problema (se c’è da produrre si fanno debiti, Reed Hastings docet); e dove sarà lo spettatore, protagonista dell’umanismo degli anni 2000, a scegliere il finale delle serie tv (rumor, poi, smentito). Bombardati, assediati, rimpinzati, talvolta anche disgustati, eppure sempre pronti, mouse alla mano, copertona di pile sulle gambe, a guardare, fruire e a bingewatchare.

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