Capire il populismo guardando il Tg4

Maurizio Crippa

Perché un tg dovrebbe sbilanciarsi così tanto sui toni del populismo? Gli interessati risponderanno: è l’audience, bellezza. Ma c'è di più

Milano. Metti un tranquillo sabato pomeriggio (sabato scorso), scivolando verso l’ora del prime time accompagnati dal Tg4. Per porsi, alla fine, qualche domanda ulteriore sul brodo di coltura del populismo. C’era stata da pochi minuti la faccenda di Heidelberg, un uomo si era buttato con l’auto sulla folla. Feriti, spari, forse terrorismo. Un buon tg ci arriva subito, un buon tg drammatizza un po’. Bene. Poi dalla cronaca, un repentino salto di livello e di tono in quel sottogenere della cronaca che confina col microfono aperto e con la tribuna dell’indignazione che è la televisione di denuncia, la camera fissa sull’Italia che va malissimo e la gente che non ne può più. Prima è stata ritrasmessa – in integrale, più o meno – la performance di Pif alla Regione Sicilia alla guida dei (legittimamente disperati) disabili in carrozzella di cui il governo di Rosario Crocetta non sa o vuole occuparsi. Con tanto di concitato faccia a faccia tra la nota icona televisiva e il presidente, tutta strilli: di qua i “ma quando assicurerete l’assistenza?”, di là i “prometto che tra una settimana… anzi un mese”. Con un culmine concettuale – che forse allo spettatore delle Iene prima, e del Tg4 dopo, sarà sfuggito. Crocetta: “Ma allora perché non fa il politico lei?”.

 

Pif: “Ma io non mi sono candidato”. Una doppia fuga dalle responsabilità. La cosa notevole è che il servizio delle Iene non era cronaca per un tg: era repertorio. Rimandato in onda a prescindere, direbbe Totò. Anzi no, trasmesso perché dava sostanza a un altro caso di cronaca: quello dell’ospedale Loreto Mare di Napoli, con i suoi 94 assenteisti indagati e i 55 ai domiciliari. Il Tg4 ha mandato in onda, da Napoli, anche altre immagini di repertorio, tratte da altri infotainment di denuncia, con le immancabili telecamere nascoste. La vera informazione, diremmo l’ancoraggio della notizia, erano altre trasmissioni. Il filo conduttore, da studio, era la denuncia un po’ stridula dei “furbetti”, di quelli che non li licenziano mai, eccetera. Il filo logico, invece, era il furore populista che travalicava il normale spirito di un tg per apparentarlo a quello dei talk più aggressivi e di certi blog del rancore sociale. Tutte le scelte editoriali sono legittime, chiaro. L’esigenza di misurare l’impatto delle scelte editoriali sulla formazione dell’opinione pubblica dovrebbe essere tenuta in conto. In epoca in cui molto si parla del controllo non solo delle fake news (qui non c’erano fake news) ma anche della diffusione del linguaggio dell’antipolitica. Sul Foglio monografico del Lunedì di ieri, Andrea Minuz ha magnificamente analizzato il rapporto tra informazione e populismo dal punto di vista dei talk-show. Il caso del Tg4, che invece è un tg, è un piccolo, forse eccentrico, caso di scuola. Perché un tg dovrebbe sbilanciarsi così tanto sui toni del populismo? Gli interessati risponderanno: è l’audience, bellezza. Non fa una piega, e si potrebbe chiuderla lì. Ma c’è di più. E’ dai tempi di Mani pulite che anche i telegiornali picchiano su quel tasto, come è stato da molti ricordato nelle scorse settimane “celebrative”. In prima fila, allora, c’erano anche Emilio Fede e l’informazione Mediaset.

 

La storia della mutazione populista degli italiani è più antica del decennio grillino. Qualche settimana fa, al convegno del Foglio sul futuro della tv, alla domanda se Grillo fosse “figlio dell’epoca delle fake news”, Fedele Confalonieri aveva risposto, con una battuta geniale delle sue: “Grillo non è fake news, è real news”. Il servizio delle Iene di Pif è stato visto da milioni di persone: sul caso siciliano, fa testo solo quello. Confalonieri ha colto che il populismo oggi è la real news, il paese reale. Non è solo un problema di Mediaset, ovvio, e tenere conto del paese reale è un dovere dell’informazione mainstream. Ma bisognerebbe capire se, nel momento in cui tutti si preoccupano di arginare l’onda, cavalcarla anche attraverso i tg sia una scelta solo consequenziale, o scellerata. Un grande amico di Fedele Confalonieri, Silvio Berlusconi, sta meditando se per la sua nuova vita politica sia una buona idea intonarsi a un populismo ben temperato. Si tratta di dcidere se gli elettori si trovano dove c’è già il pubblico, o se plasmare il pubblico determini le scelte politiche. E i relativi costi. 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"