Foto LaPresse

Sui social ha già vinto la Mannoia. Segnali allarmanti da Sanremo

Andrea Minuz

Un po' di noia e canzoni che ormai sembrano clonate. Le eliminazioni di Al Bano, Gigi D'Alessio, Giusi Ferreri e Ron, dimostrano come il Festival non sarà più la metafora del paese ma dell’Italia di Maria De Filippi. 

Sfiancati dalle cover, la quarta serata di Sanremo ci dà il colpo di grazia. Come da copione, la puntata che precede la finale deve scorrere nel nulla e quella di ieri nel suo genere è stata perfetta. Si lascia dietro le eliminazioni di Ron, Giusy Ferreri, Al Bano, Gigi D’Alessio. Praticamente, l'esatto contrario di come è andata col referendum è un segnale allarmante. Sanremo non sarà più la metafora del paese ma dell’Italia di Maria De Filippi.

Intrappolati nell'attesa della finale, sfilano cose come “standing ovation” per Antonella Clerici, peraltro estorta da Carlo Conti, gag coi dentoni finti, imitazioni di Sandra Milo e Nando Pagnoncelli, ricordo delle foibe e omaggi pecorecci a Giorgio Moroder. “Oggi ricordiamo la foiba”, dice il Presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, premiando il vincitore dei “giovani”, Lele Esposito, in arte “Lele”, uno dei tanti figli di Maria in gara a Sanremo 2017. L’anno scorso, Carlo Conti se la cavò con un fulmineo “ricordiamo per non dimenticare”. Ieri ci si aspettava qualcosa in più. È andata anche peggio. Reduce da una lite sui social con Asia Argento, in lacrime davanti al monumento alla foiba di Basovizza, Giorgia Meloni aveva chiesto al presentatore di indossare un fiocchetto tricolore per le foibe e i marò. Conti non se l’è sentita. Dovremo accontentarci di Simone Cristicchi cacciato via dall'Anpi. La finestra sul racconto delle foibe poteva essere perfetta per i racconti impassibili di Maria De Filippi, magari il prossimo anno.

 

Arrivati al terzo ascolto, le canzoni sembrano clonate. Si confondono una con l’altra raggruppandosi in due grandi famiglie di riferimento, quella dei gemiti lamentosi (Zarrillo, Sylvestre, Bianca Atzei, Lodovico Comello, Alessio Bernabei) e dei guaiti rabbiosi (Fabrizio Moro, Elodie, Ermal Meta, Giusy Ferreri).

 

L’idea che Clementino prosegua e Gigi D’Alessio o Ron vadano via ci fa paura quanto il M5s al cinquantadue per cento. “Occidentalis Karma” sarà adottata dagli orfani di Renzi, il pezzo di Al Bano potrebbe rilanciarsi come inno del Cnel.

Sui social ha già vinto Fiorella Mannoia. Ieri, mentre cantava “per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta” visualizzavamo già il trailer di un film con Micaela Ramazzotti che corre sui tacchi tra Garbatella e Piramide. Un Sanremo senza musica va benissimo. Un Festival senza polemiche e sussulti è un brutto segno dei tempi. Normalizzato l’effetto Maria De Filippi, ieri la noia ferale ha inghiottito tutto, anche l’esibizione di Virginia Raffaele. Avremmo dovuto ridere per le gag di Crozza sulla legge elettorale, notoriamente un materiale di irresistibile comicità. Sin qui il Festival ci ha regalato pochissimo. La solita rabbia per i cachet, Crozza contro Renzi come a un Floris di tre anni fa, l'indignazione di Manuela Villa per il mancato omaggio al Reuccio, quella di Adinolfi per l’eccesso di “quote gay”, quella di “Dagospia” per un Festival “senza fica”. Il picco di Caterina Balivo contro il vestito di Diletta Leotta e il “corpo hackerato delle donne” rende bene l’idea. Messo tutto insieme, è un materiale narrativo da cui non si tira fuori neanche una puntata di “Domenica Live”.

Per celebrare l’amore romantico, la bellezza e placare “Dagospia” è arrivata Marica Pellegrinelli, una “sexy mamma acqua e sapone”, come scrive il “Corriere”. Maria De Filippi si è vista poco. Quasi mai insieme sul palco con Carlo Conti. Lui è ormai con la testa al suo nuovo, delicato incarico istituzionale di direttore artistico per le celebrazioni del 60esimo anniversario del coro dell’Antoniano. Forse passerà alla storia come il Sanremo dei record e il prossimo anno saremo qui a rimpiangerlo. A quel punto, ricordarsi di Maria De Filippi e Carlo Conti che si scambiano i dentoni finti, e guardare fiduciosi al futuro.