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Il calcolo quantistico è ora una tecnologia strategica. L'obiettivo della “quantum ready alliance” della Nato

Filippo Lubrano

La potenza dei computer quantistici rappresenta una minaccia soprattutto per l’attuale infrastruttura di cybersicurezza, basata su sistemi di crittografia che potrebbero essere decifrati in tempi brevissimi

Quanto ci mette Willow, l’ultimo chip quantistico annunciato il 9 dicembre da Google, a risolvere un problema che il più avanzato supercomputer “normale” impiegherebbe dieci septilioni (un numero da venticinque cifre) di anni per risolvere? Cinque minuti.

   

Siamo davvero nell’era esponenziale, e per quanto l’intelligenza artificiale in questo momento assorba tutte le risorse finanziarie e mediatiche disponibili, ogni tanto ci si ricorda anche di altre tecnologie, che promettono di cambiare le regole del gioco da diversi punti di vista. La tecnologia quantistica è una di queste, anzi forse la prima in assoluta, ed è tornata al centro del dibattito globale, spinta da sviluppi strategici e tecnologici che potrebbero ridefinire gli equilibri geopolitici e di cybersicurezza. Già a gennaio di quest’anno la Nato ha pubblicato una “Quantum Technology Strategy”, dove esplicitava l’obiettivo di diventare una “quantum ready alliance”. Durante l’estate sono iniziate a rimbalzare le notizie da diversi paesi, che si stanno ponendo il problema di limitare le esportazioni di computer quantistici, elevando la questione a tema di sicurezza nazionale e globale.

     

Ma se stiamo iniziando a capire a grandi linee cosa sia l’intelligenza artificiale, cos’è invece un computer quantistico, e perché suscita tanta attenzione? Innanzitutto, passerà un po’ di tempo prima di poter ambire ad avere un “personal computer quantistico” sulla nostra scrivania, se mai riusciremo ad averlo. Questi sistemi devono lavorare a temperature prossime allo zero termico assoluto, ovvero -273,15 gradi celsius, e per non subire quella che in gergo tecnico viene definita “decoerenza quantistica”, ovvero l’alterazione dello stato quantico dovuta a rumori ambientali, devono lavorare in contesti controllati. A differenza dei computer tradizionali, che elaborano informazioni in unità binarie (bit), i computer quantistici utilizzano i cosiddetti qubit, che sfruttano proprietà della fisica quantistica come la sovrapposizione e l’entanglement, consentendo di eseguire calcoli a una velocità impensabile per i computer tradizionali: in sintesi, viene superata la logica dicotomica “acceso/spento” dei bit, che possono essere rappresentati solo dallo stato zero o uno, e si abbraccia quella quantistica, in cui il qubit può trovarsi in qualsiasi stato compreso tra zero e uno. Questo li rende molto più scalabili e quindi ideali per simulazioni complesse, crittografia e ottimizzazione, aree in cui le tecnologie tradizionali raggiungono i loro limiti – da cui il termine “quantum supremacy”.

   

Da grandi poteri derivano però anche grandi responsabilità. E la potenza dei computer quantistici rappresenta una minaccia soprattutto per l’attuale infrastruttura di cybersicurezza, basata su sistemi di crittografia che potrebbero essere decifrati in tempi brevissimi, come il progetto Willow ci insegna. La corsa, come ormai in qualsiasi ambito della concorrenza tech, non è unipolare. La Cina, con i suoi enormi investimenti nel settore, rappresenta un attore sempre più influente, sia con i grandi player (i soliti Alibaba, Huawei e Baidu) sia con nuovi protagonisti come Origin Quantum. Mentre gli Stati Uniti mantengono una leadership tecnologica, la competizione si fa serrata. E si allarga al campo della geopolitica.

 

La Nato, nel suo documento strategico, ha sottolineato come la tecnologia quantistica potrebbe “ridefinire le capacità di difesa e attacco”. Tra le possibili applicazioni militari si annoverano sistemi di navigazione quantistica, immuni al Gps, e reti di comunicazione crittografate attraverso la distribuzione quantistica di chiavi. Questi sviluppi rendono la quantistica una priorità per gli eserciti di tutto il mondo, soprattutto in un contesto globale di crescente instabilità.

   

Non sorprende dunque che in risposta al rischio per la crittografia, istituzioni come il National Institute of Standards and Technology (Nist) stiano sviluppando standard di crittografia post quantistica, capaci di resistere agli attacchi di questa nuova generazione. Mentre aziende private come Google, Ibm e Rigetti guidano lo sviluppo tecnologico, la geopolitica del quantum computing si intreccia sempre più sul piano nazionale con le politiche di controllo delle esportazioni. Il recente dibattito in diversi paesi sul blocco dell’esportazione di tecnologie quantistiche verso nazioni rivali sottolinea quanto il calcolo quantistico sia  considerato una tecnologia strategica, paragonabile a quella nucleare.

   

La Nato sa di non poter permettersi di rimanere indietro. L’obiettivo di diventare una “quantum ready alliance” rappresenta una dichiarazione d'intenti, ma la strada è lunga. Le partnership pubblico-private e la collaborazione internazionale saranno snodi inevitabili per colmare il divario con i leader tecnologici e garantire che i benefici del quantum computing non vengano monopolizzati.