Foto di John Cameron, via Unsplash 

destra americana

Cosa dicono le leggi di Texas e Florida per moderare i contenuti online

Pietro Minto

I due stati hanno ideato norme che non servono a migliorare l’esperienza nel web ma a confondere e intimorire le piattaforme digitali, che rischiano di diventare bersaglio ideale di innumerevoli cause

Nell’estate del 2021, due stati a guida repubblicana, Florida e Texas, hanno approvato due tentativi di riforma delle leggi su internet, poi bocciati in quanto considerati non costituzionali. Le iniziative cercavano di colpire i social media, colpevoli di – nelle parole del governatore della Florida, Ron DeSantis – “usare algoritmi segreti e praticare shadow banning per influenzare dibattiti e controllare l’informazione”. 
Lo shadow banning è un antico spauracchio della destra americana: indica la pratica con cui Facebook, Twitter e gli altri giganti social limiterebbero di nascosto la diffusione dei contenuti di alcuni politici per oscuri fini filodemocratici.

 

È una teoria cospiratoria che si basa sul fatto che, in alcuni casi, queste piattaforme possono moderare (o cancellare) post ritenuti pericolosi o contrari alle regole del servizio. Dopo anni di polemiche sull’argomento, le leggi in questione sono passate all’azione impedendo alle piattaforme social qualsiasi forma di moderazione dei contenuti. Con una legge simile, le condizioni d’uso che vietano linguaggi d’odio o razzisti, o le decisioni più radicali, come quella di estromettere o bandire Donald Trump dopo la sua chiamata alle armi del 6 gennaio 2021, non sarebbero più legali: tutti Primo emendamento della Costituzione statunitense.

 

Dopo la bocciatura della Corte, i repubblicani texani hanno tentato il ricorso presso il Quinto circuito della Corte d’Appello, la cui decisione, come riassunto dall’Atlantic, potrebbe segnare “l’inizio della fine di internet”. O meglio, dei social media. L’approvazione definitiva di una legge come quella texana, infatti, permetterebbe al procuratore generale dello stato, o a qualsiasi privato cittadino che ha un business in Texas, di denunciare le piattaforme qualora i loro contenuti fossero rimossi a causa di un’opinione ritenuta estrema (o vietata). 

 

Negazionismo, terrorismo, suprematismo, QAnon, persino contenuti vicini allo Stato islamico sarebbero in qualche modo protetti dalla legge texana, il cui nome in codice è “HB20”. Secondo Mark Joseph Stern di Slate, testi come questo sono stati scritti “innanzitutto come espedienti politici”, una forma di vendetta nei confronti dei social media, ma rappresentano anche un precedente legale prezioso per un pezzo di destra. Queste leggi non sono pensate per funzionare – o migliorare l’esperienza nel web – ma per confondere e intimorire le piattaforme digitali, che rischiano di operare sotto una normativa che le renderebbe bersaglio ideale di innumerevoli cause. In un’intervista con l’Atlantic, la direttrice del Cyber Policy Center di Stanford, Daphne Keller, ha paragonato il loro potenziale effetto a un attacco DDoS, un tipo di attacco hacker in cui un sito internet viene bombardato di richieste d’accesso fittizie, fino a metterlo fuori uso. 

 

I due disegni di legge non sono del tutto uguali. Quello proveniente dalla Florida sembra concentrarsi sul deplatforming e sul caso Trump, sostenendo che nessun candidato alla presidenza può essere rimosso dai social media – non importa cosa faccia o dica. Il testo parla anche di libertà di stampa, vietando censure e rimozioni di contenuti pubblicati da “imprese giornalistiche”, per cui si intende qualunque testata abbia pubblicato almeno cento ore di audio o video online. È una definizione piuttosto vaga e ampia, in grado di contenere podcast e gruppi Facebook ma anche siti pornografici come Pornhub, che finirebbero per essere “tutelati” da questa legge. 

 

La rappresaglia legale mira a legittimarsi sbandierando il Primo emendamento, che assicura libertà di parola e culto a tutti gli statunitensi. Ma obbligare le piattaforme a mantenere online tutti i contenuti rischia di far saltare le fondamenta di internet, riempiendolo di contenuti d’ogni tipo e trasformandolo in un far west di fatto inutilizzabile.
Il Quinto circuito ha confermato la legge del Texas, innescando un meccanismo che la porterà presso la Corte suprema degli Stati Uniti, al momento a maggioranza conservatrice. La decisione è stata però ritenuta problematica, anche dal punto di vista procedurale, ed è praticamente inevitabile un appello da parte di Big Tech, che si sta rendendo conto del pericolo rappresentato dalle leggi portate avanti da Florida e Texas.

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