editoriali
La macchina del tempo
La meraviglia del telescopio Webb che ci porta a scoprire da dove veniamo
Il giorno di Natale il James Webb Space Telescope ha iniziato il suo viaggio nello spazio, che lo porterà molto lontano dalla Terra, a quasi 1,5 milioni di chilometri da noi, dove sarà da solo – non saranno possibili interventi di manutenzione – a raccontarci galassie lontane e “a spingere un po’ più indietro nel tempo la nostra conoscenza della storia cosmica”, ha scritto il professore Amedo Balbi sulla Stampa. Ci sono voluti venticinque anni e più di 10 miliardi di dollari per costruire e mandare in orbita questo telescopio, con molti inciampi, molte liti, qualche polemica (anche sul suo nome, ché James Webb è un uomo e non una donna ed è detestato dalla comunità lgbt) e la necessità di continui investimenti.
E’ il frutto dell’eccellenza occidentale, con contributi della Nasa, dell’Agenzia spaziale europea e di quella canadese (in misura enormemente maggiore della Nasa), e pure se molti si chiedono perché spendere tanti soldi in un’esplorazione spaziale che ai nostri occhi profani sembrerà un insieme di lucine, il suo scopo ha un significato molto rilevante per trovare risposte a domande che tutta l’umanità si fa da sempre: da dove veniamo, e siamo soli nell’universo? Questo telescopio funziona come un’enorme macchina del tempo, ci può riportare alle nostre origini utilizzando la tecnologia più moderna – del futuro – che possiamo immaginare. Potrà vedere in mezzo alle polveri interstellari e dentro alle nubi dove nascono le nuove stelle, cosa che nessuno strumento ideato finora dall’uomo era riuscito a fare. Dopo il buio di 100 milioni di anni che ha seguito il bagliore iniziale che ha dato vita all’universo, si sono accese le prime luci, la cosiddetta alba del cosmo. E’ di questo che ci parlerà il telescopio spaziale James Webb ed è il viaggio più affascinante che l’umanità possa fare, nel cosmo ma non solo.
Limiti e concorrenza