Elaborazione grafica di Francesco Stati 

il saggio

L'algoritmo della nostalgia ci porta tutti nell'ennesimo loop

Pietro Minto

“The Hours Have Lost Their Clock: The Politics of Nostalgia”, un saggio di Grafton Tanner, indaga il rapporto tra nostalgia e tecnologia

Alla fine del Seicento, il medico francese Johannes Hofer notò una strana malattia che sembrava affliggere i soldati svizzeri di stanza nelle Alpi. Oggi la chiameremmo “nostalgia di casa” – o nostalgia – ma all’epoca la parola non esisteva. Fu proprio Hofer a coniarla, descrivendo la condizione che poteva – giurava – essere “fatale”. Oggi ciascuno di noi è un soldato afflitto dal malessere, con la differenza che la nostra nostalgia – contemporanea, digitale, pervasiva – non può risolversi tornando semplicemente a casa

Grafton Tanner è l’autore di “The Hours Have Lost Their Clock: The Politics of Nostalgia”, un saggio appena uscito che indaga  il rapporto tra nostalgia e tecnologia. Secondo Tanner, a peggiorare sin da subito le cose fu l’invenzione della ferrovia (“Potevi tornare a casa in poco tempo, ma non potevi tornare indietro”), che separò la nostalgia “base”, quella nei confronti di un luogo, da quella, più pressante, nei confronti di un quando, un cosa, un chi. L’impatto dei mass media e, soprattutto, dei social media è stato ancora più devastante, complice anche il Covid, che in pochi mesi ha sconvolto il nostro senso del tempo.

Più che una mera fascinazione nei confronti del passato, il problema attuale sembra essere una certa inquietudine nei confronti del futuro. Dopo anni passati a inseguire fiduciosi il domani, oggi ci si limita ad attenderlo come si attende una condanna. Tanner lo chiama “affaticamento da progresso”, un timore nei confronti del futuro, causato da vari fattori socio-economici (e ambientali). Il tutto, mentre il tempo scorre sempre più veloce sui nostri schermi, abbattendo qualsiasi barriera di distanza – geografica o di tempo.

Anche perché, in tutto questo, le macchine, gli algoritmi, i frutti di questo progresso così luminoso, non aiutano. Ansia, fomo, frustrazione e depressione sono sempre più collegati all’uso dei social media, per esempio. Ma anche la smania per i big data nasconde una falla, perché “gli umani non possono essere ridotti a numero”. Infatti, ogni volta che una piattaforma cerca di incastrare la complessità umana in un pezzo di codice, gli effetti sono problematici, da Facebook a Spotify. Tanner lo chiama “nostalgorithm”, crasi tra nostalgia e algoritmo che nasconde un interessante loop. Il passato che crea futuro. O almeno ci prova, perché “predire il futuro con i dati del passato non fa che ripetere il passato”. Siamo al paradosso, grande classico dei viaggi nel tempo.

Basta dare un’occhiata a TikTok per registrare come anche le mode e i trend siano finiti in questo vortice. Siamo oltre al “recupero” e al vintage, fenomeni da sempre presenti nella società contemporanea: i cicli, le generazioni, sono storicamente ingranaggi dal movimento lento, decennale. Ora non più. “Prima del Big Tech uno stile poteva metterci dieci o vent’anni per tornare in moda”, nota l’autore. Oggi è questione di pochi anni o addirittura mesi, “con i stessi periodi di tempo che diventano meme online”, replicandosi e fondendosi con gli altri. Esempio dalle cronache odierne: i Måneskin, gruppo romano dal successo globale la cui estetica è riassumibile in una manciata di sottoculture ben precise – e databili.

Ad alimentare il nostalgoritmo non è una cabala di Illuminati passatisti, ovviamente. Siamo noi, ogni giorno, spinti e incentivati dai social media, che tendono a storicizzare il presente a ciclo continuo, secondo dopo secondo, archiviando e fotografando le nostre vite, col risultato di allungare il passato, togliendo spazio al presente e strangolando sul nascere ogni possibilità di futuro.

Un effetto ottico che ci consegna una visione sempre più idealizzata del passato. O meglio, dei passati, perché in questo gioco ciascuno può rifarsi al suo ieri preferito, protetto da una pellicola nostalgica. È un fenomeno che ricorda quello delle filter bubble dei social network, ambienti sicuri in cui le visioni alternative non entrano e tutti si ripetono lo stesse cose, felici e sicuri, mentre il mondo continua a muoversi. E il tempo a scorrere.

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