(Lapresse)

Lo stato e la mancata svolta digitale. Lezioni dal cloud di Poste

Carlo Alberto Carnevale Maffè

La Piattaforma multicanale di Poste è un esempio di gestione efficiente laddove occorra garantire un accesso a dati provenienti da più fonti, anche per non rimanere ostaggio di un servizio pubblico che non funziona

Durante una pandemia, chi sa utilizzare correttamente cloud e interoperabilità dei dati, vince. Salva vite umane, evita fallimenti di imprese e distruzioni di posti di lavoro. Al contrario, chi difende gelosamente e ottusamente il proprio orticello informativo causa disservizi ai cittadini e prolunga la già lunghissima scia di danni sociali ed economici inflitti a tutto il Paese. Ciò a cui abbiamo assistito con la débâcle della Regione Lombardia sul sistema di prenotazione dei vaccini è solo l’ultimo caso di clamorosa inadeguatezza – irresponsabilità – per un servizio essenziale delle istituzioni, specie durante un’emergenza sanitaria, ovvero la gestione digitale dei processi sanitari. L’errore fondamentale delle autorità – nazionali e regionali – è aver considerato i processi di sanità pubblica, pur durante un’emergenza pandemica, un mero aggregato di quelli relativi alla salute individuale, lasciandoli quindi a 21 diversi sottosistemi locali che tuttora non dialogano tra loro. Tutto ciò nonostante il governo disponesse fin dal primo giorno della piena legittimazione costituzionale per sostituirsi alle competenze regionali in materia di profilassi pandemica internazionale, come certificato dalla stessa Corte costituzionale.

 

 

Quando più di un anno fa al governo Conte fu data indicazione, da parte delle diverse task force interministeriali, della urgente necessità di garantire l’interoperabilità dei dati sanitari detenuti dalle singole regioni, la risposta fu il solito rimpallo di responsabilità. Ciò che andava fatto per contribuire a prevenire decine di migliaia di vittime e danni economici incalcolabili non è stato fatto. Non è mai stato fatto per il contact tracing, dando luogo a una babele di processi scoordinati e affossando uno dei più efficaci strumenti di prevenzione, applicato in diversi Paesi asiatici dove la pandemia è stata contenuta con successo. Non è mai stato fatto per la raccolta e il monitoraggio dei dati epidemiologici, per i quali mancano tuttora, dopo oltre un anno dall’inizio dell’emergenza, informazioni puntuali; sono fonti essenziali per studiare luoghi e occasioni di contagio e quindi per implementare misure di prevenzione mirata e circoscritta a focolai e catene trasmissive, invece di imporre tardivi e inefficienti lockdown generalizzati, come ha sconsolatamente ammesso lo stesso Giovanni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute. Non è mai stato fatto per l’organizzazione della campagna vaccinale, nonostante le raccomandazioni in tal senso della Commissione Europea. Solo a fine anno l’allora commissario Arcuri, di fronte a Regioni che si muovevano in ordine sparso, si è rivolto a Poste per predisporre un sistema standardizzato di prenotazioni. Ma non più di cinque delle ventuno istituzioni locali hanno scelto di utilizzare la piattaforma multicanale sviluppata da Poste e basata su cloud. La Lombardia aveva inizialmente rifiutato, salvo cambiare idea all’inizio di marzo, troppo tardi per evitare i disservizi registrati in questi giorni. La regione Lombardia dispone di due basi dati contenenti informazioni relativi ai vaccini: il Fascicolo Sanitario Elettronico e il Data Base di gestione degli eventi vaccinali. In entrambi i casi si tratta di basi dati senza licenze che ne regolino l’accesso. Per nessuna delle basi dati vaccinali sono previsti servizi che garantiscano la fruibilità dei dati stessi, sia pure condizionata ai vincoli relativi ai dati sensibili ex D. Lgs. 196/2003.

 

 

In sostanza, anche la Regione Lombardia, che pure è all’avanguardia per l’accessibilità dei dati pubblici, non ha voluto o saputo predisporre, dopo oltre un anno di pandemia, un metodo di accesso regolato ai dati per l’organizzazione delle vaccinazioni. Ora, se invece di doversi inventare ogni volta una nuova applicazione “ad hoc”, la regione avesse provveduto ad implementare le indicazioni dell’Ue sulla interoperabilità dei dati, avremmo avuto, invece dell’ennesimo caso di disservizio, l’esempio di efficienza che era lecito attendersi dalla più avanzata regione italiana. Non deve stupire invece il fatto che Poste Italiane, che dispone di un team informatico di eccellenza e che da anni è in grado di gestire servizi su infrastrutture cloud, sia in grado di sviluppare in poche settimane un efficiente sistema di prenotazione per una prestazione sanitaria. Sono i vantaggi di chi vent’anni fa era legato a processi cartacei, e ha scelto di non procedere per piccoli passi conservando i vecchi sistemi legacy. Al contrario, ha saputo sfruttare l’effetto “leapfrogging”, il salto di generazioni tecnologiche. La rivoluzione operata prima da Corrado Passera e Massimo Sarmi e più recentemente da Francesco Caio e Matteo Del Fante ha fatto di Poste una storia di successo internazionale nel turnaround tecnologico di aziende pubbliche. Diversamente da molti sistemi informativi regionali, spesso basati su tecnologie obsolete, un front-end come quello di Poste sviluppato nativamente su cloud, grazie a partnership con operatori globali del settore, è in grado di garantire la multicanalità di accesso indispensabile quando si debba interfacciare l’intera popolazione, proprio a partire dai più anziani e quindi dal gruppo meno esperto nell’uso di strumenti digitali.

 

Né lo Stato né le Regioni dispongono di un sistema di accesso digitale universale ai cittadini. Ed è meglio che sia così, perché il compito delle istituzioni pubbliche è garantire back-end accessibili e interoperabili, non di imporre a tutti il proprio sistema. Poste, invece, è ben strutturata per interfacciarsi con i cittadini: può far leva su quasi 13mila uffici postali sul territorio tra loro interconnessi via cloud, oltre a disporre di molteplici canali integrati di relazione con gli utenti; inoltre può inviare a domicilio di cittadini non autosufficienti i propri postini, che hanno in dotazione palmari wireless e possono fare da “interfaccia umana” per prenotazione e assistenza. Semmai il problema – in un’economia concorrenziale – è quello di non offrire su un piatto d’argento a Poste Italiane un ulteriore ambito di monopolio. Proprio a questo servono regole di accesso condizionato a dati pubblici di back-end, anche quando sono di natura sensibile come quelli sanitari: da un lato per non finire ostaggio di funzionari pubblici inadeguati, e dall’altra per non creare monopoli privati. C’è da sperare che il ministro Vittorio Colao, che ha dimostrato sul campo e su scala globale la propria cultura pro-concorrenziale, sappia far tesoro di quest’ultima lezione. La tecnologia è strumento fondamentale per chi la sa usare secondo le regole di mercato, di apertura e trasparenza, ma diventa uno schermo opaco se viene usata per difendere rendite di posizione burocratiche a danno, talvolta drammatico, dei cittadini.

 

Di più su questi argomenti: