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Minority Report

Ripensare la libertà è il compito più urgente dell'occidente ai tempi della guerra tra social

Giovanni Maddalena

Twitter riuscirà a fare ciò che non è riuscito a Facebook?

La guerra dei social alla fine è scoppiata in piena pandemia mondiale. Il Covid-19 è il secondo grande evento dell’era web 2.0 – dopo il congiunto Brexit-elezione di Trump del 2016 – che sconquassa il sistema della comunicazione. Brexit e presidenziali del 2016 avevano dimostrato che c’erano protagonisti diversi, non appoggiati dai media mainstream, che erano ormai in grado di competere efficacemente facendo proprie tecniche e modi che erano stati coltura dei grandi network informativi e sfruttando le potenzialità del web, a cominciare dai social. Non era appena il successo di una parte: M5S, Podemos, Manif pour tous e, paradossalmente, Isis avevano dimostrato le medesime capacità.

 

La pandemia ha messo definitivamente in luce la debolezza del sistema esperti scientifici-media-politica, già provato da anni di contrasto fra le aspettative altissime sugli esperti e la realtà sperimentale e fallibile della scienza. Nel mondo utopico spesso propugnato la scienza dice la verità esatta, i media la comunicano senza alterarla e i politici la applicano prendendo decisioni corrette, a loro volta comunicate oggettivamente ai cittadini. Durante la pandemia in nessun paese del mondo le cose sono andate in questo modo: gli scienziati – com’è nella natura della scienza effettiva – si sono opposti fra loro e contraddetti, i politici – di ogni parte – hanno minimizzato, enfatizzato, ri-minimizzato e ri-enfatizzato. La comunicazione è stata gestita male quasi da tutti, mentre sui social si è scatenata la battaglia del tutti contro tutti: ovviamente, tutti virologi, politici, generali, sociologi, psicologi, capi di stato.

 

I social – da sempre neutrali e non perseguibili per quanto si comunica sulle loro piattaforme – hanno dovuto prendere una decisione sull’esterno problema della veridicità dell’informazione aggravato dal momento di crisi e dall’aumento del traffico. I due più celebri network hanno preso decisioni opposte. Facebook, dopo quattro anni di tentativi di controllo, ha definitivamente rinunciato. Un interessante articolo del WSJ svelava come Mark Zuckerberg abbia perso ogni interesse al tentativo di migliorare la società tramite FB, abbandonando le war room contro le fake news ma anche le alterazioni dell’algoritmo in chiave non divisiva. Al contrario, Jack Dorsey ha deciso di schierare Twitter – di solito alieno a forme di controllo – nella lotta contro le fake news, bullismo, violenza, ecc. A farne le spese, ovviamente, è stato subito l’account più celebre, quello del presidente americano Donald Trump, il quale ha prontamente risposto minacciando la famosa neutralità e non imputabilità delle piattaforme. Zuckerberg ha esplicitamente criticato il collega di Twitter e ha posto il tema della libertà di espressione contro l’esigenza di controllo veridico.

 

Chi ha ragione? Dal punto di vista pratico non c’è dubbio. Zuckerberg ha imparato a sue spese che le fake news non sono così facili da controllare: oltre alle esplicite falsità, infatti, che sono meme/deepfake/fattoidi, ci sono anche categorie più sottili e meno identificabili che vanno dagli pseudo-eventi (per esempio, il presidente che inaugura un ospedale, ma in realtà vuol far passare un messaggio politico) all’opportunismo di chi nasconde il vero emittente, dall’enfasi su parole, fatti, numeri alla selezione delle notizie. Non è facile identificare il limite tra fatto e opinione e tra opinione e menzogna o violenza. Se ne accorgeranno presto anche a Twitter.

 

Dal punto di vista teorico, la vicenda è più complicata ed è profonda. La libertà di espressione è indifferente alla verità e al bene? Ma se non lo è, chi è deputato a decidere qual è l’uno e qual è l’altro? E se ciascuno lo può decidere, perché impedire a qualcuno di esprimere le sue scelte? Il cortocircuito del liberalismo dove la libertà coincide con scelta autonoma appare palese nella guerra dei social ed emerge tutta la debolezza di politici di ogni colore che non hanno visioni alternative del tema della libertà, il più importante e il più caro a tutte le culture che hanno dato vita all’occidente. Ripensare la libertà rimane uno dei compiti più urgenti dell’occidente post-Covid, prima che la guerra dei social e della società diventi cruenta.

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