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Twitter elimina gli annunci politici a pagamento, ma non è una panacea

Eugenio Cau

Peggio delle ads politiche false c’è soltanto la personalizzazione delle ads politiche. E se Facebook l’eliminasse?

Milano. Elizabeth Warren, la candidata alle primarie democratiche americane attualmente in testa nei sondaggi, nelle ultime settimane ha attaccato ferocemente la decisione di Facebook di non fare fact checking degli annunci politici. Il mese scorso il social network ha deciso che quando un politico paga per un annuncio di campagna elettorale, non spetta alla piattaforma decidere se quell’annuncio è lecito o meno: anche se si tratta di una palese bugia Facebook non interverrà. Più di ogni altro candidato democratico, la Warren è stata la più dura contestatrice di questa decisione – ha perfino pubblicato un annuncio su Facebook che conteneva palesi falsità a proposito di Facebook pur di denunciare la completa licenza di menzogna concessa ai politici. La settimana scorsa, mentre la polemica montava, Twitter ha deciso di inserirsi nel dibattito: il ceo Jack Dorsey ha annunciato che il suo social network non accetterà più la pubblicazione di annunci a pagamento di carattere politico per evitare di dare alla propaganda strumenti per aumentare la propria diffusione. Warren sarà stata contenta, direte. Al contrario. Il problema è che quando si parla di annunci di contenuto politico non si parla soltanto di pubblicità elettorale, ma anche di annunci prodotti da ong, gruppi umanitari e ambientalisti: sono le cosiddette “issue ads”, e Twitter probabilmente le eliminerà tutte. Warren era infuriata: come mai Twitter impedisce agli attivisti contro il climate change di comprare pubblicità ma lo consente alle compagnie petrolifere brutte cattive e inquinanti?, ha twittato la senatrice. Insomma, Warren è arrabbiata con Facebook perché consente gli annunci politici ma è arrabbiata anche con Twitter perché non li consente. La contraddizione è evidente, e dimostra che su una questione così complessa, che riguarda la libertà d’espressione, il diritto all’informazione e, da ultimo, la democrazia stessa, una panacea non esiste. Ci sono però alcune cose che si possono fare. Una di queste riguarda il microtargeting. 

 

 

La ragione principale per cui Facebook non vuole bandire gli annunci politici come ha fatto Twitter è la stessa per cui non vuole farne il fact checking: se Zuckerberg non ha intenzione di giudicare cosa è vero e cosa è falso in una campagna di comunicazione politica, figuriamoci se vuole decidere cos’è una campagna di comunicazione politica. Ma alcune fonti dentro a Facebook hanno detto a Nbc News che il ceo dell’azienda sta pensando di limitare la possibilità per i politici di usare il microtargeting. Cosa significa? Il microtargeting è uno degli strumenti più potenti che Facebook mette a disposizione degli inserzionisti. Consente di far arrivare un messaggio esclusivamente a determinati settori della popolazione, selezionati in maniera eccezionalmente specifica. Voglio inviare un annuncio pubblicitario solo ed esclusivamente a giovani professionisti sotto ai 35 anni che abitano nella periferia di Pittsburgh e hanno l’hobby del modellismo? Con Facebook è possibile. E’ facile capire perché questo strumento è preoccupante in mano a una campagna politica. Un candidato può inviare il messaggio x a una porzione di elettorato e il messaggio y a un’altra, e può farlo senza alcun tipo di controllo e di supervisione – e soprattutto senza consentire agli avversari di controbattere, ché nessuno sa cosa è stato comunicato a chi. Facebook quest’anno ha introdotto strumenti di trasparenza come una libreria pubblica degli annunci, ma non ha rivelato niente delle alchimie del microtargeting.

 

 

Se Facebook eliminasse il microtargeting per gli annunci politici, il suo ruolo diventerebbe più simile a quello di un’emittente televisiva: un comunicato di una campagna elettorale è mandato in onda, tutti lo vedono, tutti hanno la possibilità di controbattere. La settimana scorsa Ellen Weintraub, capo della Federal electoral commission americana, ha scritto esattamente questo in un op-ed sul Washington Post: bisogna eliminare il microtargeting. Secondo Weintraub, sarebbe anche un modo per mettere in pratica la dottrina della Corte suprema americana, secondo la quale il modo migliore per contrastare le falsità è rispondere con una pluralità di controargomenti. Il microtargeting, adesso, rende l’argomentazione impossibile. Eliminarlo non è la soluzione definitiva al problema della libertà d’espressione politica sui social network, ma sarebbe un primo passo. Zuckerberg ci sta pensando.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.