Mark Zuckerberg (foto LaPresse)

Il vero problema con le fake news online è cosa vuole essere Facebook da grande

Eugenio Cau

Il social network, fuori dalla testa di Mark Zuckerberg, è una media company, cioè una piattaforma che pubblica contenuti ed esercita un qualche tipo di controllo editoriale su di essi

Milano. Una delle ragioni per cui Facebook è tra le aziende più discusse e tormentate del mondo è che il social network non è mai stato in grado di definire precisamente la propria natura – non è mai stato in grado, cioè, di risolvere il gran dilemma tra ciò che Mark Zuckerberg vorrebbe che Facebook sia e ciò che Facebook è nella realtà. Nella testa di Mark Zuckerberg, la natura di Facebook è molto chiara: Facebook è un’infrastruttura. Aprire un account di Facebook è come stendere un nuovo tratto di fibra ottica, e usare Facebook è come fare una telefonata: qualunque cosa venga detta da un capo all’altro della cornetta, Facebook è il tramite tecnico della comunicazione, il messaggero che non ha niente a che vedere con il messaggio. Se uno stalker usa il telefono per minacciare la sua vittima nessuno se la prende con la compagnia del telefono, e dunque perché mai se qualcuno usa Facebook per scopi loschi – come per esempio minare alle fondamenta la democrazia liberale – bisognerebbe prendersela con Facebook? Questo, in poche parole, è il pensiero di Mark Zuckerberg, che soltanto di recente, e soltanto perché pressato dall’opinione pubblica e dalla politica, ha cominciato a riconoscere pubblicamente che Facebook ha enormi responsabilità nei confronti della società.

 

Fuori dalla testa di Mark Zuckerberg, Facebook è una media company. Significa che Facebook non è una semplice infrastruttura, è un’enorme piattaforma che pubblica contenuti ed esercita un qualche tipo di controllo editoriale su di essi. Questa definizione (media company) fa inferocire Facebook, ma è difficile negare che il social network sia molto di più di un semplice filo del telefono lungo il quale tutto transita indisturbato. Anzitutto c’è l’algoritmo. Facebook decide chi vede quali post, in quale ordine e con che rilevanza. La decisione non è esplicita ed è personalizzata per ogni utente, ma c’è. Inoltre Facebook pone delle regole su cosa si può scrivere e cosa no. Le bufale, specie quelle pericolose che riguardano la salute, la sicurezza e la politica, sono controllate da factchecker indipendenti che segnalano quando un post è palesemente falso. Hate speech e razzismo invece sono banditi. Questo è valido per tutti, a meno che tu non sia un politico.

 

Nick Clegg, ex vicepremier britannico e oggi vicepresidente di Facebook con delega agli Affari globali e alla comunicazione, l’ha annunciato la settimana scorsa: Facebook non vuole intromettersi con le comunicazioni dei politici, e dunque se un rappresentante del popolo scrive qualcosa di falso o di potenzialmente pericoloso su Facebook sono fatti suoi e di chi lo legge. Il social network non interverrà a meno che il politico in questione non inciti alla violenza nel mondo reale – tutto il resto è concesso. Mercoledì il Wall Street Journal ha scritto inoltre che Facebook intende applicare lo stesso laissez-faire anche ai post che verranno classificati come “opinioni” o come “satira”, i quali non saranno più controllati da factchecker quando segnalati. Questa novità, che non è ancora stata ufficializzata, indica quanto dolorosa e controversa sia per Facebook ogni singola scelta di gestione dei contenuti postati dagli utenti. Facebook vorrebbe essere un’infrastruttura impassibile ma invece è una piattaforma che deve preoccuparsi continuamente di come viene utilizzata, deve consentire alle opinioni di circolare liberamente e al tempo stesso deve fare i conti con il fatto che queste opinioni possono provocare pericoli e controversie, e qui non parliamo necessariamente dei post di Trump o Di Maio: dire che i vaccini sono inefficaci può tranquillamente essere un’opinione. E’ questo che fa di Facebook la più grande media company del mondo, ed è questo che terrorizza Mark Zuckerberg: la responsabilità delle opinioni di quasi tre miliardi di persone.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.